Paracadute parziale sugli obbligazionisti
La caduta del tentativo di affidare al mercato l’aumento di capitale del Monte dei Paschi porterebbe con sé le ricadute imposte dalle regole europee al sostegno pubblico straordinario. Sostegno che sia il premier Paolo Gentiloni sia il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan hanno etichettato come “salva risparmio”, sulla base del presupposto che l’unica alternativa per il Monte sarebbe stata quella della risoluzione con la conseguenza del bail in su azioni e depositi sopra i 100mila euro.
Il sostegno precauzionale, secondo la direttiva bancaria del 2014 (la Brrd) e le sue interpretazioni al centro da mesi di un confronto serrato fra Roma e Bruxelles, produce invece la conseguenza del “burden sharing”, cioè la condivisione dei costi a carico prima di tutto degli obbligazionisti subordinati. A rendere possibile questa prospettiva sono le due condizioni imposte dalla direttiva Ue (la 2014/59, in particolare l’articolo 32) e dalla comunicazione del 2013 sul sistema bancario: un tentativo di mercato portato avanti fino in fondo, anche senza essere coronato dal successo, e un sostegno pubblico straordinario con l’obiettivo di «prevenire» il rischio di «grave perturbazione dell’economia» che potrebbe arrivare dalla risoluzione del Monte, la terza banca italiana (e la più antica del mondo).
La platea è la stessa coinvolta in questi giorni nella proposta di conversione volontaria, che avrebbe “pagato” i titoli a 100 (quindi con un premio intorno al 50% rispetto alle loro quotazioni attuali di mercato) imponendo agli investitori di dedicare questi soldi all’acquisto di nuove azioni del Monte. Rispetto a questo scenario, la conversione forzata si differenzia per un aspetto fondamentale, oltre a quello ovvio di non lasciare scelta ai titolari dei bond subordinati: il prezzo riconosciuto ai titoli cala drasticamente.
Finora, con l’operazione privata aperta anche se schiacciata da difficoltà crescenti, il valore di conversione ha rappresentato il segreto meglio custodito dell’intero piano B, ma a imporne un taglio netto rispetto al quadro volontario è lo stesso principio ispiratore delle regole Ue: lo Stato può intervenire in via eccezionale e “precauzionale” solo dopo che il mercato abbia pagato un prezzo. L’entità di questo prezzo sarà approvata solo ex post dalla commissione Ue, ma è stata al centro in queste settimane di un confronto tecnico con Bru- xelles per evitare il rischio di una bocciatura successiva.
A questo punto, le strade dei piccoli risparmiatori, cioè le circa 40mila persone che nel 2008 hanno sottoscritto il bond subordinato di Siena “Upper Tier II”, si possono dividere da quelle dei fondi e degli altri investitori istituzionali. Per i primi, infatti, il governo ha trattato con l’Unione europea la possibilità di prevedere indennizzi successivi in grado di attenuare in modo consistente il colpo sui loro portafogli. Anche questo aspetto dell’intervento statale è stato accompagnato dal riserbo più stretto, sempre per non “inquinare” il tentativo di mercato in corso, ma è stato lo stesso ministro dell’Economia a garantire un intervento per «minimizzare o rendere inesistenti» le ricadute sui piccoli risparmiatori. Il prece-
LE DUE CONDIZIONI La strada dei capitali privati è stata percorsa fino in fondo e l’intervento statale serve a prevenire «turbative»
ISTITUZIONALI FUORI GIOCO Indennizzi in campo per i piccoli investitori. Tra le ipotesi l’utilizzo di azioni come «risarcimento»
dente è rappresentato dai casi di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara, la cui risoluzione è stata accompagnata da un doppio sistema di rimborsi: quelli a forfait, pari all’80%, per i titolari di redditi fino a 35mila euro o di patrimoni mobiliari fino a 100mila, e quello arbitrale, che però si è finora scontrato con l’assenza delle regole attuative dopo il «no» del Consiglio di Stato risolto solo ieri (si veda pagina 35). A differenza del Monte, però, il caso delle quattro banche è appunto una risoluzione, per cui la nuova tornata dei rimborsi potrebbe avere confini più ampi: tra le ipotesi c’è quella di utilizzare nuove azioni ordinarie come moneta per compensare gli obbligazionisti subordinati, ma il sistema va studiato in più fasi per sterilizzare il rischio di nuove perdite. Essenziale, in ogni caso, è il tema del «misselling», cioè della vendita non in linea con il profilo di rischio dell’acquirente e non accompagnata da un’informazione adeguata sul punto, che le regole europee pongono come condizione per i rimborsi.