Perché è giusto che lo Stato intervenga a rafforzare le banche
Ègiusto che lo Stato diventi il salvatore di ultima istanza delle banche? Per rispondere compiutamente al quesito cerchiamo di fissare in primo luogo alcuni principi chiave: lo Stato è il soggetto che in condizioni normali ha maggiore capacità di raccogliere risorse sul mercato del debito per assicurare lo sviluppo e la stabilità di un paese; la capacità di un paese di produrre ricchezza in modo qualitativamente sano e quantitativamente adeguato è l’unica arma in grado di sostenere e di giustificare quel debito.
Su questa “virtù” giocano un ruolo fondamentale tre fattori, determinanti e interdipendenti: la solidità, il dinamismo, la potenza e l'etica del sistema finanziario; l’efficienza, il dinamismo e la competitività del sistema economico – produttivo; la capacità dell’apparato pubblico e istituzionale e del sistema politico di creare un ambiente sempre più favorevole ai primi due fattori.
Ora, non può essere più disconosciuto che da tempo c’è un problema specifico nel nostro paese che riguarda uno di questi fattori (la fragilità di alcune banche) sul quale è necessario fare chiarezza senza riserve.
Poniamoci quindi una prima domanda: quali sono i problemi che assillano il nostro sistema bancario? Sono di tre tipi: uno riguarda la qualità del credito che si traduce nell’eccessivo peso dei prestiti deteriorati sul totale dei prestiti (la media europea è al 5,5%, Francia, Germania e Regno Unito sono ampiamente sotto il 5% e l'Italia è al 18%); l’altro riguarda la scarsissima propensione a produrre reddito (l’Italia è al terz’ultimo posto per Roe nell’Ue); il terzo è rappresentato da un modello di sviluppo del business non più adeguato al nuovo scenario di mercato ormai stabilizzato (elevato sviluppo dei canali informatici e tecnologici, bassa domanda di credito per investimenti, un mercato immobiliare ipertrofico che depotenzia il principale fattore di garanzia dei prestiti).
Possiamo allora affermare che il sistema bancario italiano nel suo complesso versa in uno stato di grave difficoltà? La risposta in questo caso non può essere univoca e semplicistica. Infatti, non sono poche le banche che hanno retto egregiamente all'onda d'urto violentissima che ha colpito il nostro paese, ma non sono nemmeno poche le banche che sono in uno stato di evidente affanno e che presentano persistenti difficoltà di risa- namento senza cospicui aiuti esterni.
A chi è attribuibile la responsabilità di una situazione comunque molto critica e complicata? Verosimilmente nessuno degli attori in campo è esente da responsabilità ed errori, nel contempo è poco utile stilare una graduatoria delle colpe, ma lo scettro va senz’altro consegnato ad un padrone indiscutibile: la seconda recessione del 20122013 con la sua potente carica distruttiva che non ha avuto riscontri nelle economie avanzate e che ha sconquassato il sistema economico dell'Italia lasciando cumuli di macerie nell’economia reale per niente facili da rimuovere.
In questo contesto, le regole europee che hanno introdotto il bail-in sono utili a risolvere i problemi del nostro sistema bancario? Non lo sono affatto! Anzi, nate per spezzare il legame tra crisi bancarie e crisi dei debiti sovrani (verificatosi in altri paesi), all'atto pratico generano instabilità e possono diventare una sciagura se inducono i risparmiatori a trovare rifugio in un numero ristretto di banche, lasciando tutte quelle meno attrezzate in balia delle correnti emotive provocate dai sospetti di fragilità contagiosa.
Allo stato attuale pertanto la domanda cruciale che si pone è: come si esce da questa situazione? In proposito c’è un dato incontrovertibile di cui tenere conto. Far fallire in modo disordinato le banche può rivelarsi molto più oneroso del costo di un loro salvataggio, il loro default può produrre infatti un effetto valanga sul sistema economico-finanziario minando la stabilità di un paese. Peraltro non bastano gli aumenti di capitale, pubblici o privati che siano, per mettersi alle spalle tutti i problemi.
Sul piano aziendale è necessario che ogni banca bisognosa di aiuti elabori prima un piano or- ganico di risanamento e di riequilibrio di medio termine, credibile e fondato su tre assi fondamentali: la revisione profonda del modello di business basata su una diversificazione sufficientemente ampia della generazione dei ricavi; la capacità solida di produrre attivi di elevata qualità e di buon rendimento per evitare gli errori gestionali e le degenerazioni del passato; la capacità di governare in modo più efficiente ed elastico la struttura dei costi.
Sul piano pubblico la stretta interdipendenza funzionale tra sistema finanziario e sistema economico – produttivo richiede politiche economiche pro-attive di sostegno al superamento delle difficoltà diffuse di macro e di micro economia.
Quelle di macro devono tendere a far ritrovare un tasso di crescita di vero spessore, senza il quale nessun settore bancario in affanno al mondo può ritrovare pieno equilibrio e solidità, e a contenere credibilmente la vulnerabilità del paese (debito pubblico). Quelle micro, in fasi di alta percezione del rischio, devono riuscire a rendere più fluido il motore del credito attraverso idonee garanzie pubbliche concesse all’area nevralgica della nostra economia (le Pmi), a far ritornare dinamico il mercato immobiliare in ogni settore (residenziale, commerciale, industriale) con incisivi incentivi fiscali, e a facilitare in modo davvero efficace il recupero dei crediti in sofferenza così come avviene nei paesi più evoluti.
Se si prescinde da questo lavoro collettivo nessun apporto di capitale potrà essere risolutivo, trattandosi sostanzialmente di una copertura della somma dei risultati negativi rivenienti dal passato che non rimuove le sorgenti che li hanno generati.
In definitiva oggi, far diventare lo Stato il salvatore di ultima istanza aumentando il suo gravoso debito, così come previsto anche dalle nuove norme europee sui salvataggi bancari, è la peggiore delle soluzioni; fatta eccezione per tutte le altre. Mentre, in un contesto di crisi bancarie diffuse e acute, la via migliore è quella scelta da tutti i più grandi paesi dell’economie avanzate (tranne il nostro) subito dopo le crisi del 2008 e del 2010-2011: fare diventare lo Stato, a determinate condizioni, il salvatore di prima istanza.
In entrambi i casi è comunque necessario aggiungere una postilla: «Purché sia in grado di saper intervenire efficacemente su quella “virtù” che giustifica il debito».
L’INTERDIPENDENZA Servono politiche economiche pro-attive di sostegno al superamento delle difficoltà diffuse di macro e microeconomia
LA POSTILLA A prescindere dai tempi in cui avviene l’intervento statale, deve agire efficacemente su quella «virtù» che giustifica il debito