Tempi stretti per un riscatto del M5S «di governo»
Nel caso di Roma non vale il detto: meglio tardi che mai. A fronte di una situazione che da molti mesi rivelava debolezze e opacità il Movimento Cinque Stelle ha sbagliato a non prendere di petto la situazione. Si può capire che si sia fatto condizionare dalla paura del “ma così viene giù tutto” e magari dal sostegno di quella parte di opinion maker che avendo scommesso sulla novità del grillismo non si arrende alla constatazione di aver trasformato in fatti le sue aspirazioni al cambiamento radicale.
Siamo un paese in cui l'attesa di un qualche messia che mandi a casa una classe dirigente giudicata in maniera troppo sbrigativa tutta inefficiente e corrotta ha già giocato in passato brutti scherzi. Qualcuno ricorderà, tanto per non risalire troppo indietro, quando autorevoli giornalisti inneggiarono alle prime vittorie leghiste in Lombardia come un fatto salutare su cui non si doveva fare gli schizzinosi: anche i “barbari” (questa la definizione dell'epoca) erano stati agenti decisivi per smantellare la decadenza della Roma imperiale.
Sarebbe il caso questa volta di mantenere un po' più di freddezza nel valutare tutte le facce di una complicata situazione. A Roma il M5S si è mostrato inefficiente come “istituzione politica”: ha problemi nel selezionare i quadri di vertice e non riesce a controllarli; ha sottovalutato il rischio che correva di dover fare i conti con l'assalto a salire sul suo carro, una volta che si fosse diffusa la sensazione che poteva essere quello vincente.
Alcuni errori sono stati grossolani, perché, tanto per stare all'ultimo caso, non occorreva una cattedra di diritto amministrativo per capire che promuovere il fratello del braccio destro del sindaco era operazione da evitare, così come le nomine di personaggi coinvolti con molto discusse gestioni dell'era precedente. Non è stata una prova di capacità politica non avere compreso che una situazione del genere non la si poteva lasciare in essere. Bisognava mostrare di possedere gli strumenti per non consentire che una persona che si rivelava palesemente incapace (senza per altro che fossero chiare fino in fondo le ragioni di quella incapacità) potesse agire senza avere dei referenti politici a cui dover rispondere quotidianamente. Detto così suscita le perplessità degli utopisti, ma è il meccanismo che in ogni istituzione politica impedisce l'anarchia decisionale e le scelte a capocchia (e si vede anche fuori dal M5S cosa questo voglia dire).
Ciò detto, non si può banalmente godere dello sfascio dell'esperimento romano, sia perché avviene sulla pelle di milioni di cittadini, sia perché mette in discussione la capacità del sentimento popolare di produrre delle svolte. Una debacle del grillismo a Roma non giova a nessuno, ma semplicemente al qualunquismo convinto che tanto non c'è salvezza: sono proprio tutti eguali. Poi avremmo semplicemente quelli che sanno “navigare” meglio di questo sodalizio fra politici dilettanti allo sbaraglio e funzionariato che pensa di fare il suo nido e il suo comodo sotto ogni bandiera.
A questo punto M5S deve agire davvero da istituzione, mostrando che, costi quel che costi, prende in mano la situazione e commissaria seriamente la situazione rispondendo al mandato a governare che ha ricevuto dai romani. Ha atteso anche troppo, e questa attesa ha generato molti sospetti sul a chi giovasse e su cosa volesse nascondere. Ora deve muoversi con l'umiltà di chi impara dagli errori e riacquistando l'orgoglio che può venire dal non disperdere un consenso popolare che rimane notevole.