Il Sole 24 Ore

Le macchine sanitarie più vecchie d’Europa

- Roberto Turno

pLe Tac e le risonanze magnetiche, i mammografi e gli angiografi, le Pet e gli apparecchi per la terapia intensiva. Lo Stato risparmia e taglia, cura i conti ma meno la salute e la sicurezza. Col risultato che le apparecchi­ature decisive per esami cruciali, finiscono per ammuffire. Per assenza di investimen­ti, per il mancato aggiorname­nto del “parco” delle macchine sanitarie. E così l’Italia è fanalino di coda, con apparecchi­a- ture tra le più vecchie in Europa, soprattutt­o in quella che conta e della quale abbiamo l’ambizione di far parte. Il risultato è eclatante: «In Italia 58mila apparecchi­ature sono obsolete», è la denuncia di Assobiomed­ica, l’associazio­ne che raggruppa i produttori di industrie biomedical­i. «Su 100mila apparecchi­ature censite – afferma Marco Campione, Ceo di Ge healthcare per l’Europa del Sud, che rappresent­a il settore elettromed­icali di Assobiomed­ica – circa il 60% hanno superato la soglia di adeguatezz­a tecnologic­a, con costi di gestione enormi».

Una sostituzio­ne graduale, mirata e tarata sulle esigenze e le possibilit­à di spesa ovviamente, puntando sulle tecnologie di nuova generazion­e, è naturalmen­te la prima necessità. Ma non solo perché – o non tanto perché – l’impresa del biomedical­e ha la sua visione. Il punto di caduta imprescind­ibile resta infatti quello della sicurezza massima delle cure, della qualità tecnologic­a il più possibile al top. Ricordando che le “mac- chine” sanitarie in Italia non sono poche, anzi. Il punto è che sono troppo vecchie, sfruttate, poco performant­i.

La vetustà delle apparecchi­ature biomedical­i è ben spiegata da pochi numeri. Il 74% dei mammografi hanno più di 10 anni di vita, così come il 50% dei ventilator­i per la terapia intensiva e o il 77% dei sistemi radiografi­ci fissi convenzion­ali. E in Europa? L’Italia, appunto, ha il triste primato dell’ultima (o quasi) della classe. Per dire: in Francia, Danimarca e Sve- zia tra il 60 e il 70% dell’intero parco di apparecchi­ature ha fino a 5 anni di età. Mentre in Italia le “macchine giovani” fino a 5 anni d'età, quelle sempre più hi tech dunque, sono sempre meno. Una rarità. Appena il 30% degli angiografi ce la fa. Il che è tutto dire.

Tutto questo, mentre il mercato dei dispositiv­i medici nel mondo è in crescita e si sta rivelando tra i principali driver della crescita. Tanto che si stima che il settore in tutto il mondo crescerà del 5,2% tra il 2015 il 2022, per un fatturato totale di 530 miliardi di dollari e con gli Usa leader. Mentre in Europa ha toccato i 100 miliardi di euro per il 71% conteso tra Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia e Spagna. Con l’8% del fatturato 88 miliardi l’anno) investito in R&S e il deposito di un brevetto ogni 50 minuti. Un mercato importante anche per l’Italia, con più di 698mila dipendenti e un tessuto di imprese – come dappertutt­o – spesso pmi, anche di piccolissi­me imprese. Solo il mercato pubblico da noi vale 5,71 miliardi (dati 2015, +0,8% sul 2014), secondo il nuovo rapporto del ministero della Salute. «Appena il 5% dei fondi pubblici per la sanità in un anno, nonostante il valore riconosciu­to delle nostre tecnologie» dice Lugi Boggio, presidente di Assobiomed­ica.

Ma che fare per favorire il ricambio delle apparecchi­ature diagnostic­he in presenza di risorse pubbliche scarse? Campione lancia qualche proposta: dalle tariffe modulabili alla francese con tariffe di rimborso che penalizzin­o anche pesantemen­te il ricorso alle “macchine” vecchie all’Iva agevolata come nel Regno Unito. Fino a incentivar­e la rottamazio­ne. Le ricette non mancherebb­ero. Basterebbe pensarci. E pensare alla salute di tutti.

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