Singapore-Ue, ratifica difficile
Il parere dell’avvocato generale della Corte Ue sulle competenze tra Bruxelles e Stati membri I grandi accordi commerciali sottoposti al sì dei Parlamenti nazionali
pSe serviva un’altra picconata alla già vacillante politica commerciale europea – in tema di trattati e accordi commerciali internazionali – eccola servita.
L’accordo di libero scambio tra Ue e Singapore (l’Eufsta) non può essere concluso solo dalla Commissione, senza la ratifica di ogni singolo Stato membro. A stabilirlo è stato, ieri, l’avvocato generale della Corte di Giustizia europea del Lussemburgo, Eleanor Sharpston, mettendo così dei paletti precisi ai futuri accordi commerciali dell’Unione europea, ma anche a quello che dovrà essere discusso con la Gran Bretagna sulla Brexit.
Le sue conclusioni vanno infatti ben oltre l’intesa sottoscritta tra Bruxelles e la piccola città-Stato, da cui la Ue importa per 19 miliardi ed esporta per 30.
Se le conclusioni dell’avvocato generale saranno fatte proprie dai giudici di Lussemburgo – che sulla vicenda si pronuncerà nel 2017 – il parere sarà, infatti, destinato a fare giurisprudenza e tutti gli accordi – conclusi, in fase di negoziazione o per ora in alto mare – dovranno fare i conti con il “doppio binario” di una ratifica a Bruxelles, e di altre in ogni singolo Stato membro. Con la prospettiva di avere accordi firmati ma “paralizzati”, cui serviranno anni per entrare in vigore e magari già vecchi rispetto a un quadro economico nel frattempo modificato.
L’avvocato generale Eleanor Sharpston cita come esempio il recente alt della Vallonia al negoziato sul Ceta, l’accordo di libero scambio tra Bruxelles e il Canada. E conclude che la commissione Ue non ha una «competenza esclusiva», come sostenuto dallo stesso Euroesecutivo e dal Parlamento europeo, sull’intesa di libero scambio con Singapore del 2013.
Secondo l’avvocato generale – il cui parere è stato chiesto dalla Commissione ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, del Trattato sul funzionamento dell’Unione, sulla ripartizione delle competenze tra Ue e Stati membri in relazione all’accordo con Singapore – occorre, in questo caso, come sostenuto dal Consiglio Ue e dai Paesi Ue, che «l’Unione e gli stati membri agiscano congiuntamente».
Perché la prima ha una «competenza esclusiva» in materia di commercio delle merci e concorrenza, ma non di trasporti, normativa su lavoro, ambiente e politica sociale, disposizioni su-
gli appalti pubblici.
Certo, riconosce Sharpston, «questo tipo di procedura di ratifica che coinvolge tutti gli Stati membri può creare alcune oggettive difficoltà, ma ciò non può avere un’influenza sulla domanda che è stata posta, cioè chi ha competenza a concludere i trattati».
Il parere espresso ieri da Sharpston avrà ripercussioni su tutta la politica commerciale dell’Unione, compreso l’accordo appena firmato con il Canada, il Ceta. Era stata la stessa Commissione europea, infatti, ad affermare che l’accordo con Singapore era simile a quello con il Canada e che quindi il parere della Corte sarebbe stato in qualche modo un parere anche su quello.
A questo punto, se la Corte sembra concordare con la definizione di questi accordi commerciali come “accordi misti”, ciò mette in crisi anche la scelta – adottata dalla Commissione, sul Ceta – di farlo entrare in vigore in “modalità
LE CONSEGUENZE In attesa della sentenza, prevista l’anno prossimo, l’opinione potrebbe fare giurisprudenza anche per un accordo su Brexit
provvisoria”, cioè già dopo l’approvazione dell’Europarlamento, in attesa di tutte le ratifiche nazionali. Come comportarsi? Servirà un altro parere?
Certamente, questo seppellisce, per ora, ogni residua speranza di andare avanti sul Ttip – il contestato accordo di libero scambio Ue-Usa ora “congelato” – che dovrà essere definito anch’esso un “accordo misto”, e quindi inviato alla ratifica di tutti i Parlamenti.
La decisione della Corte – che normalmente recepisce le conclusioni dell’avvocato generale – arriverà nel 2017.
A questo punto, nuvole e incertezza si addensano anche sul negoziato per la Brexit. Un accordo, già di per sé complicato, che andasse a ridisegnare le relazioni economiche, commerciali, finanziarie e politiche tra Londra, Bruxelles e i singoli Stati, porterebbe a tempi di ratifica lunghi, lenti e incerti «a tempo indeterminato».