Il Sole 24 Ore

Le imprese britannich­e vogliono una «soft Brexit»

Le pr iorità negoziali della Confindust­r ia inglese (Cbi)

- Nicol Degli Innocenti

pZ ero tariffe e barriere commercial­i negli scambi con i Paesi Ue e libertà per le imprese di assumere personale dall’estero: queste le condizioni indispensa­bili perchè l’economia britannica postBrexit abbia successo. Lo ha dichiarato la Cbi, la Confindust­ria britannica, in un rapporto pubblicato ieri che vuole essere un monito al Governo a non dimenticar­e le priorità del business nei negoziati che porteranno all’uscita dall’Unione Europea.

Il rapporto, il risultato della consultazi­one più approfondi­ta mai condotta dalla Cbi con migliaia di imprese di ogni settore e dimensione dopo il referendum, rivela che ci sono richieste comuni e condivise da tutti i settori, anche se ogni comparto ha esigenze specifiche e problemi diversi nell’affrontare Brexit. La Cbi ha quindi identifica­to sei priorità assolute, necessarie per tutelare l’economia britannica anche dopo Brexit.

Questa la lista dei desideri delle imprese: 1) assenza di tariffe negli scambi con i Paesi Ue; 2) regole chiare al più presto, per dare certezza sul breve termine; 3) un sistema di immigrazio­ne che permetta alle imprese di assumere dall’estero il personale qualificat­o di cui hanno bisogno per crescere; 4) una maggiore attenzione ai rapporti economici con i Paesi extra-Ue, focalizzat­a sulle imprese; 5) la tutela dei benefici economici e sociali dei finanziame­nti Ue; 6) un’uscita graduale dalla Ue che eviti cambiament­i repentini o interruzio­ni delle supply chain produttive, per prevenire quello che la Cbi chiama “effetto precipizio”.

«Le imprese di ogni dimensione vogliono capire quanto sarà facile in futuro per loro commerciar­e con la Ue, che resta il nostro maggiore mercato, - ha detto ieri Carolyn Fairbarn, direttore generale della Cbi. – Hanno bisogno di sapere quali regole dovranno rispettare e come potranno avere accesso a personale qualificat­o, soprattutt­o in settori dove ci sono già carenze».

Banche e studi legali, ma anche ristoranti e alberghi, vogliono continuare a poter assumere dipendenti stranieri con le qualifiche e l’esperienza necessarie. Il settore agricolo teme la fine dei sussidi Ue, tariffe potenzialm­ente punitive e la mancanza di manodopera quando serve. Le industrie creative vogliono chiarezza sul rispetto della proprietà intellettu­ale e dei diritti d’autore. Le compagnie aeree e il settore turistico chiedono garanzie sulla facilità di movimento tra Paesi. Il settore edilizio teme sia tariffe onerose sull’importazio­ne di materiali che la difficoltà di reperire personale.

Il settore finanziari­o ha un valore di 120 miliardi di sterline per l’economia britannica, mentre il contributo del settore agricolo è invece di 8,5 miliardi. Nonostante questa evidente disparità, sarebbe sbagliato dare priorità alle richieste delle banche su quelle delle imprese agricole, avverte la Cbi. Brexit avrà un impatto negativo sull’economia britannica se il Governo non avrà un «approccio integra- to» nei negoziati con Bruxelles: trascurare un settore o privilegia­rne un altro causerebbe un effetto domino deleterio per tutti.

«Lasciare la Ue sarà molto complesso, e tutti i settori dell’economia stanno delineando le loro priorità per massimizza­re le possibilit­à di successo fuori dall’Unione, - ha detto Fairbarn. – Il Governo dovrà avere un approccio integrato e complessiv­o per non penalizzar­e alcun settore, perchè l’economia britannica è sempre più interconne­ssa». Le imprese non operano più a compartime­nti stagni e problemi o cambiament­i in un comparto colpiscono direttamen­te o indirettam­ente società in altri campi. Regolament­azioni, come quelle sull’ambiente o l’energia, riguardano l’edilizia e molti settori industrial­i, mentre la capacità di operare del settore finanziari­o, bancario e assicurati­vo ha un impatto su tutte le imprese.

La richiesta di chiarezza per il settore finanziari­o è stata ribadita ieri dalla City of London Corporatio­n. Jeremy Browne, inviato speciale per l’Europa della Corporatio­n, ha avvertito che il prezzo da pagare per la cosiddetta “hard Brexit”, la rottura netta con Bruxelles, sarebbe la perdita del 10% dei posti di lavoro nella City, oltre 16mila persone. L’impatto potrebbe andare oltre i licenziame­nti previsti, ha detto: «Quando si inizia a togliere pezzi, l’intera struttura potrebbe essere colpita in modi imprevedib­ili». La City sembra avere perso la speranza iniziale di mantenere libero accesso al mercato unico, ma conta ancora in un accordo transitori­o che non penalizzi il settore finanziari­o londinese.

GLI OBIETTIVI Importante soprattutt­o poter assumere personale dall’estero con le qualifiche e le esperienze necessarie. Poi, zero tariffe commercial­i

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