Il gesto ribelle di chi non si lascia distrarre
In una società sempre più flessibile e nella quale le sicurezze diminuiscono senza requie, l’attenzione diventa un atto essenziale. Qualcosa legato sempre più alla nostra sopravvivenza sociale (e fisica). E questo anche se ognuno di noi ne ha a disposizione una quantità limitata. Con essa si devono fare i conti in ogni momento. Le mille voci che mettono in guarda si susseguono nella storia. Due secoli e qualche anno fa Kant in “Che cos’è l’Illuminismo?” ne registrava alcune: «Da tutte le parti odo gridare: non ragionare! L’ufficiale dice: non ragionate, ma fate esercitazioni militari! L’intendente di finanza: non ragionate, ma pagate! L’ecclesiastico: non ragionate, ma credete!». Oggi potremmo aggiornare, mutando leggermente questa specie di litania: attento a cosa succede al corpo con analisi periodiche, attento a come guidi, attento quando cammini con l’iPhone, attento ai conti della banca, attento a chi frequenti, attento a cosa mangi o a cosa comperi, attento al fisco, attento a come ti comporti al lavoro. Sono alcuni esempi.
Rousseau nell’”Emilio” ricordò che «vale molto di più avere la costante attenzione degli uomini che la loro occasionale ammirazione». Oggi si potrebbe aggiungere che l’attenzione è necessaria a volte più dell’intelligenza, anche se le possibilità umane non consentono di stare attenti a tutto. Occorre selezionare, o quanto meno abituarsi a farlo. «L’attenzione è più del semplice stare attenti»: così si intitola un capitoletto di un libro scritto a quattro mani, dedicato a questo problema, da uno psicologo e da un neuropsicologo. Anzi, i due autori, Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà, con il saggio “Una cosa alla volta. Le regole dell’attenzione” (Il Mulino, pp. 176, euro 13) hanno in realtà pubblicato un manuale di sopravvivenza per l’uomo contemporaneo. Indicano come, dove e quando è necessario stare attenti, i processi automatici e quelli controllati che la governano, i momenti in cui essa fa cilecca eccetera. I due autori ricordano innanzitutto di cosa dobbiamo prendere atto, non essendo degli esseri infiniti o universali; inoltre pongono in evidenza quanta selezione sia necessaria, giacché le nostre funzioni mentali hanno delle capacità limitate: non ci possono essere dubbi sul fatto che noi uomini possiamo pensare a poche cose alla volta, sovente soltanto a una sola.
Detto in soldoni, l’attenzione si potrebbe intendere come un vigile urbano del pensiero: rappresenta un aiuto per “indirizzare l’informazione”. Legrenzi e Umiltà ricordano che «tutte le attività umane che non siano completamente automatizzate richiedono risorse attentive».
Il libro termina proponendo le dieci regole dell’attenzione. Un decalogo che contiene osservazioni preziose per meglio agire nella società contemporanea, la medesima che moltiplica gli stimoli e cerca di ingannarci offrendoci sempre più cose da fare. La terza di esse recita: «Le immagini artificiali sono state spesso costruite in modo da richiedere poche risorse mentali: diffidiamo di tali costruzioni, domandiamoci perché sono state costruite così». Anche la nona merita di essere riportata: «Attenzione ai doppi compiti: uno può danneggiare l’altro, anche se non ce ne rendiamo conto. Introspettivamente siamo noi a decidere a che cosa stare attenti, ma la selezione competitiva può svolgersi in modo automatico». Siamo dinanzi a un decalogo per l’uomo contemporaneo, che insegna a difendersi da talune insidie in grado di confondersi sempre più con migliorie e vantaggi.
Del resto, stare attenti alle attenzioni che dobbiamo attivare diventa sempre più importante in una società che produce inviti con velocità esponenziale, facendo leva sui nostri stimoli. Da quello della fame, che sovente soddisfiamo con il cibo-pattumiera, a quello per un oggetto che il più delle volte giunge a noi sollecitando gli istinti sessuali. Darwin aveva notato che la bellezza è riconducibile all’attenzione da parte dell’altro sesso grazie a quanto colpisce lo sguardo. Per questo le prime immagini sono state decorate sul corpo; e ancora oggi i tatuaggi esercitano codesta antica funzione. Né vanno dimenticati i richiami del mondo digitale: gli inviti che ci giungono per una lettura, per eseguire un semplice “clic” o anche per offrire un parere sono infiniti. Le finestrelle che si aprono in tutti gli schermi sono ormai fuori controllo. Tutti, insomma, cercano di «lucrare sulla nostra attenzione». È già cominciato il periodo in cui si deve attuare una legittima difesa? Certo. Non è il caso di soccombere.