La Consulta boccia ricorso Lombardia
Respinti i principali dubbi sollevati dalla Regione Lombardia «Non irragionevole» il tetto degli 8 miliardi di euro
pCinque “stop” della Corte costituzionale al ricorso sulla legge di riforma delle Popolari proposto dalla Regione Lombardia. È legittima la soglia degli 8 miliardi per la trasformazione obbligatoria in spa, legittima anche la decretazione d’urgenza sul tema banche - e pure quella sull’argomento “costituzionale” del risparmio - legittima la legiferazione d’imperio su una materia (anche) regionale, non violata infine neppure la «leale collaborazione» con gli enti decentrati regionali. Decisione importante, quella della Corte, soprattutto in prospettiva: venerdì il Consiglio di Stato aveva sospeso in via cautelare, oltre alla possibilità di non rimborsare il recesso ai soci, anche l’obbligo di trasformazione in spa, dead-line martedì prossimo. Il 12 gennaio ci sarà il giudizio di merito e grazie a ciò la Popolare di Sondrio e la Popolare di Bari hanno messo in stand-by le rispettive assemblee.
Inoltre il Consiglio di Stato ha rinviato alla Consulta la legge per i limiti al recesso e per il ricorso alla decretazione d’urgenza. Su questo punto la Corte è stata però tranciante, tanto da far ritenere improbabile, dice l’avvocato Francesco Saverio Marini «che il 12 gennaio il Consiglio di Stato possa prorogare la sospensiva della norma». È probabile, piuttosto, che già oggi il governo inserisca nel decreto Mps una proroga lunga - 12 mesi - per la trasformazione in spa.
Tornando alla sentenza di ieri della Consulta - sentenza 287 - le motivazioni appaiono così chiare da lasciare poco spazio a future “svolte” interpretative. Pur nei limiti del ricorso, promosso dalla Lombardia e quindi circoscritto all’”interesse regionale”, la Consulta avalla senza alcuna riserva la legge 33/2015. A cominciare dalla scelta “tecnica” del decreto legge, a cui non mancavano i presupposti d’urgenza: a fronte delle «forti sollecitazioni del Fmi e dell’Ocse a trasformare le banche popolari maggiori in società per azioni», scrive la Corte, poco valgono le risoluzioni del Parlamento Ue evocate dalla Lombardia «a sostegno della struttura pluralista del mercato bancario e della cooperazione bancaria». E tra l’altro, la legge impugnata ha una portata molto circoscritta sul sistema finanziario e non può definirsi una «riforma» fatta per decreto, ma semmai un correttivo necessa- rio a perseguire scopi e finalità nella piena disponibilità del legislatore statale. Il Parlamento poi non era tenuto a coinvolgere le Regioni, perchè si versa in materia di «tutela del risparmio», di «concorrenza» e di «ordinamento civile», di stretta competenza del legislatore nazionale.
Quanto alla soglia degli 8 miliardi, «non è sindacabile da questa Corte» perchè «non è manifestamente irragionevole». Quella soglia, infatti, descrive la dimensione dell’attivo che è «un indicatore attendibile della complessità di una banca» e, nel suo ammontare, spiega la “distanza” tra l’indole mutualistica delle pop/coop e la loro attuale strutturazione.
C’è infine anche un inciso sulla mancata omogeneità del decreto legge da cui decollò la mini-riforma, aspetto che per esempio affossò anni fa la Fini/ Giovanardi in materia di stupefacenti (norme inserite nella legge Olimpiadi di Torino): secondo la Corte, invece, tutte le misure del dl 3/2015 «possono essere ricondotte al comune obiettivo di sostegno dei finanziamenti alle imprese, ostacolati dalla straordinarietà della crisi economica e finanziaria in atto».