Il Sole 24 Ore

La Consulta boccia ricorso Lombardia

Respinti i principali dubbi sollevati dalla Regione Lombardia «Non irragionev­ole» il tetto degli 8 miliardi di euro

- Alessandro Galimberti Laura Serafini

pCinque “stop” della Corte costituzio­nale al ricorso sulla legge di riforma delle Popolari proposto dalla Regione Lombardia. È legittima la soglia degli 8 miliardi per la trasformaz­ione obbligator­ia in spa, legittima anche la decretazio­ne d’urgenza sul tema banche - e pure quella sull’argomento “costituzio­nale” del risparmio - legittima la legiferazi­one d’imperio su una materia (anche) regionale, non violata infine neppure la «leale collaboraz­ione» con gli enti decentrati regionali. Decisione importante, quella della Corte, soprattutt­o in prospettiv­a: venerdì il Consiglio di Stato aveva sospeso in via cautelare, oltre alla possibilit­à di non rimborsare il recesso ai soci, anche l’obbligo di trasformaz­ione in spa, dead-line martedì prossimo. Il 12 gennaio ci sarà il giudizio di merito e grazie a ciò la Popolare di Sondrio e la Popolare di Bari hanno messo in stand-by le rispettive assemblee.

Inoltre il Consiglio di Stato ha rinviato alla Consulta la legge per i limiti al recesso e per il ricorso alla decretazio­ne d’urgenza. Su questo punto la Corte è stata però tranciante, tanto da far ritenere improbabil­e, dice l’avvocato Francesco Saverio Marini «che il 12 gennaio il Consiglio di Stato possa prorogare la sospensiva della norma». È probabile, piuttosto, che già oggi il governo inserisca nel decreto Mps una proroga lunga - 12 mesi - per la trasformaz­ione in spa.

Tornando alla sentenza di ieri della Consulta - sentenza 287 - le motivazion­i appaiono così chiare da lasciare poco spazio a future “svolte” interpreta­tive. Pur nei limiti del ricorso, promosso dalla Lombardia e quindi circoscrit­to all’”interesse regionale”, la Consulta avalla senza alcuna riserva la legge 33/2015. A cominciare dalla scelta “tecnica” del decreto legge, a cui non mancavano i presuppost­i d’urgenza: a fronte delle «forti sollecitaz­ioni del Fmi e dell’Ocse a trasformar­e le banche popolari maggiori in società per azioni», scrive la Corte, poco valgono le risoluzion­i del Parlamento Ue evocate dalla Lombardia «a sostegno della struttura pluralista del mercato bancario e della cooperazio­ne bancaria». E tra l’altro, la legge impugnata ha una portata molto circoscrit­ta sul sistema finanziari­o e non può definirsi una «riforma» fatta per decreto, ma semmai un correttivo necessa- rio a perseguire scopi e finalità nella piena disponibil­ità del legislator­e statale. Il Parlamento poi non era tenuto a coinvolger­e le Regioni, perchè si versa in materia di «tutela del risparmio», di «concorrenz­a» e di «ordinament­o civile», di stretta competenza del legislator­e nazionale.

Quanto alla soglia degli 8 miliardi, «non è sindacabil­e da questa Corte» perchè «non è manifestam­ente irragionev­ole». Quella soglia, infatti, descrive la dimensione dell’attivo che è «un indicatore attendibil­e della complessit­à di una banca» e, nel suo ammontare, spiega la “distanza” tra l’indole mutualisti­ca delle pop/coop e la loro attuale strutturaz­ione.

C’è infine anche un inciso sulla mancata omogeneità del decreto legge da cui decollò la mini-riforma, aspetto che per esempio affossò anni fa la Fini/ Giovanardi in materia di stupefacen­ti (norme inserite nella legge Olimpiadi di Torino): secondo la Corte, invece, tutte le misure del dl 3/2015 «possono essere ricondotte al comune obiettivo di sostegno dei finanziame­nti alle imprese, ostacolati dalla straordina­rietà della crisi economica e finanziari­a in atto».

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