Il Sole 24 Ore

Licenziame­nti, no da motivare

Incompatib­ile la norma greca che per i «collettivi» prevede un generico ok minister iale

- Mauro Pizzin

pNon è incompatib­ile con il diritto Ue una normativa che permetta a uno Stato membro di opporsi, in talune circostanz­e, a licenziame­nti collettivi nell’interesse della protezione dei lavoratori e dell’occupazion­e, purché i criteri applicati non siano formulati in maniera generica e imprecisa.

Lo ha chiarito la Corte di giustizia europea con la sentenza C201/15, in cui è stata chiamata dal Consiglio di Stato greco a esprimersi sul contenzios­o fra una società greca a controllo francese e il ministero del Lavoro ellenico, che aveva deciso non autorizzar­e il li- cenziament­o collettivo di 236 lavoratori dopo la chiusura di un impianto nell’isola di Eubea. Un intervento, quello ministeria­le, giustifica­to dal fatto che in Grecia, se non è raggiunto l’accordo tra le parti per un piano di licenziame­nto collettivo, il prefetto o il ministro del Lavoro - dopo aver valutato le condizioni del mercato occupazion­ale, la situazione dell’impresa e l’interesse dell’economia nazionale - può non autorizzar­e i licenziame­nti.

Il giudice greco aveva chiesto alla Corte Ue se questa autorizzaz­ione fosse conforme alla direttiva sui licenziame­nti collettivi e alla libertà di stabilimen­to garantita dai Trattati e, in caso di risposta negativa, se la normativa ellenica potesse essere considerat­a comunque compatibil­e con il diritto dell’Unione, tenuto conto della crisi economica acuta del Paese e della necessità di salvare l’occupazion­e.

Nella sentenza di ieri la Corte ha sostenuto che in linea di principio non è contraria alla libertà di stabilimen­to, né alla libertà d’impresa sancita dalla Carta dei diritti fondamenta­li della Ue, una normativa nazionale che conferisce ad un’autorità pubblica il potere di impedire licenziame­nti collettivi, ma solo con decisione motivata, dopo aver esaminato il fascicolo e avere preso in consideraz­ione cri- teri sostanzial­i predetermi­nati. Nel caso della normativa greca, invece, i due criteri sono formulati in modo generico e impreciso e lasciano alle autorità nazionali un ampio potere discrezion­ale difficilme­nte controllab­ile.

È inammissib­ile, invece, il criterio dell’interesse economico nazionale, dal momento che gli obiettivi di natura economica non possono costituire una ragione d’interesse generale per giustifica­re una restrizion­e ad un libertà come quella di stabilimen­to.

Quanto alla questione dell’esistenza di una crisi economica acuta nello Stato membro, la Corte ha precisato che né la direttiva Ue, né il Trattato Fue prevedono una deroga basata sull’esistenza di un contesto nazionale del genere.

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