Licenziamenti, no da motivare
Incompatibile la norma greca che per i «collettivi» prevede un generico ok minister iale
pNon è incompatibile con il diritto Ue una normativa che permetta a uno Stato membro di opporsi, in talune circostanze, a licenziamenti collettivi nell’interesse della protezione dei lavoratori e dell’occupazione, purché i criteri applicati non siano formulati in maniera generica e imprecisa.
Lo ha chiarito la Corte di giustizia europea con la sentenza C201/15, in cui è stata chiamata dal Consiglio di Stato greco a esprimersi sul contenzioso fra una società greca a controllo francese e il ministero del Lavoro ellenico, che aveva deciso non autorizzare il li- cenziamento collettivo di 236 lavoratori dopo la chiusura di un impianto nell’isola di Eubea. Un intervento, quello ministeriale, giustificato dal fatto che in Grecia, se non è raggiunto l’accordo tra le parti per un piano di licenziamento collettivo, il prefetto o il ministro del Lavoro - dopo aver valutato le condizioni del mercato occupazionale, la situazione dell’impresa e l’interesse dell’economia nazionale - può non autorizzare i licenziamenti.
Il giudice greco aveva chiesto alla Corte Ue se questa autorizzazione fosse conforme alla direttiva sui licenziamenti collettivi e alla libertà di stabilimento garantita dai Trattati e, in caso di risposta negativa, se la normativa ellenica potesse essere considerata comunque compatibile con il diritto dell’Unione, tenuto conto della crisi economica acuta del Paese e della necessità di salvare l’occupazione.
Nella sentenza di ieri la Corte ha sostenuto che in linea di principio non è contraria alla libertà di stabilimento, né alla libertà d’impresa sancita dalla Carta dei diritti fondamentali della Ue, una normativa nazionale che conferisce ad un’autorità pubblica il potere di impedire licenziamenti collettivi, ma solo con decisione motivata, dopo aver esaminato il fascicolo e avere preso in considerazione cri- teri sostanziali predeterminati. Nel caso della normativa greca, invece, i due criteri sono formulati in modo generico e impreciso e lasciano alle autorità nazionali un ampio potere discrezionale difficilmente controllabile.
È inammissibile, invece, il criterio dell’interesse economico nazionale, dal momento che gli obiettivi di natura economica non possono costituire una ragione d’interesse generale per giustificare una restrizione ad un libertà come quella di stabilimento.
Quanto alla questione dell’esistenza di una crisi economica acuta nello Stato membro, la Corte ha precisato che né la direttiva Ue, né il Trattato Fue prevedono una deroga basata sull’esistenza di un contesto nazionale del genere.