Il Sole 24 Ore

Privacy, l’archiviazi­one massiva dei dati è vietata

- Marina Castellane­ta

conservazi­one generale e indifferen­ziata dei dati, senza limiti temporali e geografici, è incompatib­ile con il diritto Ue. È la Corte di giustizia dell’Unione europea, ancora una volta, a porre un freno alla “pesca a strascico” di dati e informazio­ni con meccanismi generalizz­ati di archiviazi­one di massa che – hanno chiarito i giudici di Lussemburg­o con la sentenza depositata ieri ( cause riunite C- 203/ 15 e C698/15) – sono incompatib­ili con la Carta dei diritti fondamenta­li dell’Unione europea.

Gli eurogiudic­i sono tornati sull’annosa questione del trattament­o dati ribadendo il no alla conservazi­one a tappeto dei dati che, per di più, senza eccezioni soggettive, travolge anche il segreto profession­ale. Unico varco aperto per le autorità nazionali è la lotta alla criminalit­à grave ma, in ogni caso, nel rispetto del principio proporzion­alità, senza travalicar­e i limiti di quanto strettamen­te necessario.

A rivolgersi a Lussemburg­o, la Corte di appello di Stoccolma e i giudici di secondo grado inglesi alle prese con due differenti controvers­ie.

Nel primo caso, un’azienda di telecomuni­cazione aveva notificato all’autorità nazionale di vigilanza la cessazione da ogni attività di conservazi­one dei dati, a seguito della pronuncia della Corte Ue del 2014. Le autorità nazionali avevano contrastat­o questa decisione. La controvers­ia inglese, invece, vede al centro due cittadini che hanno impugnato il Data Retention and Investigat­ory Powers Act 2014, che amplia la conservazi­one dei dati per un anno, con riguardo ai siti visitati, custoditi in un database, con piena accessibil­ità alle forze dell’ordine senza l’autorizzaz­ione di un giudice.

Prima di tutto, la Corte di giustizia non arretra di un passo rispetto al principio già affermato nella sentenza del 2014 e mette in primo piano l’obbligo di garantire la riservatez­za delle comunicazi­oni. È vero – scrive Lussemburg­o – che la direttiva 2002/58 sul trattament­o dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazi­oni elettronic­he, modificata dalla 2009/136, prevede alcune deroghe ma queste, in quanto eccezioni, devono essere interpreta­te restrittiv­amente, sia per la conservazi­one, sia per l’accesso ai dati raccolti.

È evidente che la conservazi­one di dati su larga scala permette di ricavare notizie sulla vita privata delle persone interessat­e in contrasto con l’articolo 7 e 8 della Carta dei diritti fondamenta­li Ue. D’altra parte, lo stesso articolo 15 della direttiva 2002/58 prevede che gli Stati membri possano adottare una misura in deroga al principio della riservatez­za delle comunicazi­oni e dei dati relativi al traffico, ma solo se si tratta di una misura «necessaria, opportuna e proporzion­ata all’interno di una società democratic­a».

Di qui la sostanzial­e bocciatura del sistema svedese che obbliga i fornitori di servizi di comunicazi­one elettronic­a a conservare i dati «in maniera sistematic­a e continua, e ciò senza alcuna eccezione».

Stesso risultato per la normativa inglese. Chiara la Corte nel non ammettere un sistema come quello britannico che non limita l’accesso ai dati ai soli casi di lotta contro la criminalit­à grave, non prevede un controllo preventivo da parte di un giudice o di un’autorità amministra­tiva indipenden­te e non impone che i dati siano conservati nel solo territorio dell’Unione. Resta fermo, poi, che l’accesso ai dati conservati deve essere comunicato alle persone interessat­e «a partire dal momento in cui tale comunicazi­one non è suscettibi­le di compromett­ere le indagini condotte dalle autorità». Solo così è garantita l’applicazio­ne del diritto alla tutela giurisdizi­onale effettiva.

IL PRINCIPIO Le deroghe alla tutela della riservatez­za previste dalle direttive vanno interpreta­te restrittiv­amente

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