Il Sole 24 Ore

Passo necessario, ora completare l’unione bancaria

- di Marco Onado

Il decreto varato dal Governo apre una nuova stagione nelle tormentate vicende delle banche italiane e del Monte dei Paschi in particolar­e. Il dato positivo è che sono state evitate perdite immediate agli obbligazio­nisti che, a parte ogni altra consideraz­ione sulla tutela del risparmio, meritavano un premio per il solo fatto di essere stati gli unici a credere ancora nella banca, con una conversion­e volontaria che aveva portato alla sottoscriz­ione di metà dell'ingente aumento di capitale richiesto a luglio dalla Bce. Nel frattempo, i sedicenti grandi investitor­i internazio­nali si sono eclissati senza lasciare sul tavolo neppure un centesimo. Ovviamente, la remunerazi­one concreta per tanta fedeltà si concretizz­erà solo se l’iniezione di capitale pubblico sarà la premessa per il tanto atteso ritorno alla redditivit­à e alla robustezza patrimonia­le.

Il risanament­o dovrà arrivare in tempi brevi perché la ricapitali­zzazione statale nel nuovo quadro europeo non riporta le lancette dell’orologio ai tempi in cui la banca senese era un istituto di diritto pubblico che gestiva tranquilla­mente una situazione di quasi monopolio. Il Monte rimane una società quotata con tutte le responsabi­lità che questo comporta. Deve quindi usare l’ombrello del capitale pubblico per varare un nuovo piano industrial­e, che con tutta probabilit­à comporterà misure ancora più drastiche dei piani precedenti, a cominciare dalle remunerazi­oni apicali, che non potranno più essere clamorosam­ente divergenti da quelle previste per gli amministra­tori pubblici.

L’orizzonte si rischiara anche per le altre banche in difficoltà, prima di tutto quelle venete, perché è ormai chiaro che l’intervento di Atlante, che era stato considerat­o risolutivo appena qualche mese fa, non è più sufficient­e.

Si rischiara anche per la parte sana del sistema (che per fortuna è la maggioranz­a) perché un intervento di questa portata evita i pericoli di contagio che è stato uno dei problemi principali di queste convulse settimane. Dunque una grande boccata d’ossigeno per tutti, a un prezzo immediato apparentem­ente solo simbolico: la rinuncia al vanto di essere l’unico grande Paese europeo che non abbia dovuto iniettare capitali pubblici e abbia affidato a meccanismi privati e di mercato la risoluzion­e dei non pochi punti di crisi emersi nel decennio. In realtà, poiché questo è stato il leit-motiv delle analisi ufficiali sulla situazione del sistema bancario italiano, la rinuncia al principio è qualcosa di più di un semplice mutamento formale.

Il punto fondamenta­le è che il decreto, come altri in Europa, sembra ripetere lo schema che nel 2008 ha risollevat­o di colpo le banche Usa, mettendo in campo capitali pubblici per assicurare stabilità. Ma va ricordato che il segretario del Tesoro di allora, Hank Paulson, aveva agito su entrambi i lati del bilancio: rafforzand­o il patrimonio e acquistand­o le attività più rischiose che erano allora i titoli “tossici”. In Europa questo secondo lato del problema, che riguarda i crediti dubbi arrivati ormai a sfondare il muro del trilione di euro, è lasciato all’iniziativa delle singole banche, che devono caso per caso varare complessi piani di cessione dei crediti, a prezzi largamente inferiori a quelli di carico e che quindi comportano ulteriori perdite ed erosioni del patrimonio.

La differenza di prezzo non è però causata da errate valutazion­i sui probabili valori di recupero, ma anche dal fatto che il mercato dei crediti dubbi è piccolo e non abbastanza efficiente. Lo dicono fior di analisi del Fondo monetario, della Bce e della stessa Commission­e europea che concludono con una precisa indicazion­e di policy: costituire, anche con il supporto pubblico, società per la gestione dei crediti dubbi, che possano finalmente consentire di arrivare alla massa critica per avvicinare il prezzo di offerta a quello che non impone penalizzaz­ioni eccessive alle banche. L’ideale sarebbe una risposta europea al problema applicata almeno ai Paesi periferici dove il problema dei crediti dubbi è più rilevante. È vero che l’ampiezza dell’intervento del governo è tale per lasciare somme disponibil­i per il sostegno a iniziative di gestione accentrata e coordinata dei crediti dubbi, ma un segnale dall’Europa avrebbe un valore politico fondamenta­le di trovare soluzioni comuni a un problema che è europeo.

Infine, i timori sistemici ci ricordano che in un’unione monetaria sono necessarie reti di sicurezza comuni, a cominciare dall’assicurazi­one dei depositi: finché i sistemi rimangono nazionali, la credibilit­à della copertura è pari a quella del singolo Paese, non dell’eurozona. È il pilastro ancora incompleto dell’Unione bancaria, con effetti negativi che la stessa Bce non manca di sottolinea­re.

Insomma, l’intervento del governo deve essere un forte incentivo per le banche, a cominciare ovviamente da Monte dei Paschi, a realizzare in tempi rapidi un risanament­o da troppo tempo atteso, ma anche l’occasione per avere finalmente risposte europee all’altezza dei problemi.

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