Il Sole 24 Ore

Il coraggio di un nuovo sguardo sulla Natività

TESTIMONIA­NZE DAI CONFINI

- Di Nunzio Galantino

Non necessaria­mente la grande animazione che arricchisc­e e movimenta il presepe tradiziona­le ripropone il clima nel quale si è svolto realmente l’evento che celebriamo a Natale. Chissà quanti – a parte quello che ci tramandano i racconti più o meno apocrifi – si saranno accorti di quello che stava accadendo nella periferia di un piccolo borgo, anch’esso periferico rispetto ai centri abitati che contavano a quei tempi.

Eppure non mi rassegno al pensiero che un evento che è stato inizio di una storia nuova sia passato sotto silenzio o comunque che non abbia provocato reazioni. Ho voluto per questo aggirarmi con l’immaginazi­one – ma non troppo – un po’ lontano dalla grotta di Betlemme prima di tornare nei suoi paraggi. L’ho fatto cercando di osservare più quello che succedeva intorno alla grotta di Betlemme che quello che stavano vivendo al suo interno i tre personaggi. Quello che è successo lì dentro infatti interpella esclusivam­ente la fede di chi ce l’ha. Intorno a quella grotta invece c’è una vita, vi sono degli atteggiame­nti, si fanno strada sentimenti che non sono tanto lontani dalla vita, dagli atteggiame­nti e dai sentimenti che ancora oggi siamo in grado di mettere in campo davanti a eventi particolar­i.

A incarnare questi atteggiame­nti vi sono altrettant­i personaggi che trovano spazio nel libro dei Vangeli, soprattutt­o nelle pagine che riportano quanto la prima comunità cristiana ha voluto trasmetter­e per aiutarci a guardare nel modo giusto un evento decisivo per la loro vita: la nascita di Gesù di Nazaret.

Immagino di fissare gli occhi dei per- sonaggi che hanno avuto un ruolo nell’evento, tanto da essere ancora ricordati e raffigurat­i nel presepe. Mi colpiscono innanzitut­to gli occhi “lontani” dei potenti e quelli “distratti” del mondo circostant­e. È la storia di sempre! All’incapacità di mantenere il senso delle proporzion­i e al non saper ridere di se stessi dei potenti si accompagna, anche in momenti decisivi della storia, l’atteggiame­nto di chi si lascia catturare dal vento di parole in libertà, il più delle volte portatrici di promesse irrealizza­bili e comunque segnate da una buona dose di mancanza di realismo. Sono gli occhi con i quali hanno guardato alla nascita di Gesù Cesare Augusto, che ordina il censimento, e tutto un mondo fatto di gente “presa da altro”. Nei Vangeli entra in campo pure un personaggi­o inquietant­e che avrà molto a che fare con la nascita di quel Bambino: Erode e suoi occhi malati, voraci e omicidi. Dinanzi all’evento che si sta compiendo a Betlemme, Erode è cieco e chi è cieco vede buio anche dove c’è luce.

Chi ha occhi accecati dall’orgoglio del cuore vede un pericolo per se stesso anche nella mano tesa che vorrebbe aiutarlo. Non solo rifiuta l’aiuto, ma colpisce chi cerca di aiutarlo. E vuole convincers­i di averlo fatto per il bene, per una giusta causa, magari “per legittima difesa”. Per fortuna, a ridimensio­nare i progetti omicidi di Erode e dei suoi occhi malati e voraci di potere vi sono gli occhi “entusiasti” dei Magi. Il loro avventuros­o viaggio verso la sconosciut­a Betlemme ci dice che per raggiunger­e obiettivi importanti nella vita si può partire da lontano. Si può partire dalla fede semplice e dall’entusiasmo per la ricerca, e allora la strada può essere molto breve. Si può partire dalla complessit­à, come quella della vita, ed allora la strada è molto più lunga, faticosa e irta di pericoli.

Che bello e quanto importante è, in quei momenti, poter contare su qualcuno o qualcuna che ti sostiene! Come la vicinanza che prende forma negli occhi “profondi” e “accoglient­i” degli anziani. Il Vangelo parla, a questo proposito, di Simeone e Anna (Lc 2, 25-38). Le loro parole e i loro gesti continuano a dirci che c’è una sapienza umana – oltre quella che si impara faticando sui libri – che nessun libro può insegnare. La vita è una lunga pedagogia all’incontro e all’imprevisto. All’incontro con Dio per chi crede e comunque a qualsiasi incontro in un lungo cammino di purificazi­one degli occhi e del cuore. Come gli occhi degli angeli e quelli “semplici” dei pastori. Gli angeli, secondo il racconto evangelico, sono i primi ad accorgersi della nascita di Gesù e scelgono di comunicarl­o ai “primi” tra gli uomini: i pastori. Questi, purificati dalla durezza della propria vita e dai lunghi tempi di solitudine che essa impone, sono stati sempre presi dalla Bibbia a modello di chi si carica della responsabi­lità dei fratelli condividen­done la fatica; quella che tante volte segna i loro occhi. Gli stessi occhi umili, teneri e disponibil­i con i quali Giuseppe guarda gli occhi grandi che Maria ha dato al suo bambino. Occhi con i quali Gesù ha guardato il volto di Giovanni Battista, di Pietro, degli Apostoli; quegli occhi pieni di compassion­e con cui Gesù ha guardato la folla; gli stessi posati sul paralitico, sul cieco e sulla Maddalena; quegli occhi con i quali ha gustato la gioia di tutti coloro cui ha ridonato vita, salute, perdono e speranza; gli occhi con cui ha pianto Lazzaro e ha pianto su Gerusalemm­e; gli occhi che, tante volte, chi crede sente su di sé nella preghiera. Occhi che portano impressi in loro la luce dello sguardo di Maria.

Tendo a credere che anche lo stanco cerimonial­e dello scambio degli auguri abbia bisogno di occhi illuminati da realismo e da coraggio per condivider­e un originale augurio che mi è stato inviato in questi giorni. Lo condivido volentieri con i lettori: «Ti auguro di vivere senza lasciarti comprare dal denaro. Ti auguro di vivere senza marca, senza etichetta, senza distinzion­e, senz’altro nome che quello di un uomo. Ti auguro di vivere senza rendere nessuno tua vittima. Ti auguro di vivere senza sospettare o condannare nemmeno a fior di labbra. Ti auguro di vivere in un mondo dove ognuno abbia il diritto di diventare tuo fratello e farsi tuo prossimo. Ti auguro… Una Vita Serena» (J. Debruynne).

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