Il coraggio di un nuovo sguardo sulla Natività
TESTIMONIANZE DAI CONFINI
Non necessariamente la grande animazione che arricchisce e movimenta il presepe tradizionale ripropone il clima nel quale si è svolto realmente l’evento che celebriamo a Natale. Chissà quanti – a parte quello che ci tramandano i racconti più o meno apocrifi – si saranno accorti di quello che stava accadendo nella periferia di un piccolo borgo, anch’esso periferico rispetto ai centri abitati che contavano a quei tempi.
Eppure non mi rassegno al pensiero che un evento che è stato inizio di una storia nuova sia passato sotto silenzio o comunque che non abbia provocato reazioni. Ho voluto per questo aggirarmi con l’immaginazione – ma non troppo – un po’ lontano dalla grotta di Betlemme prima di tornare nei suoi paraggi. L’ho fatto cercando di osservare più quello che succedeva intorno alla grotta di Betlemme che quello che stavano vivendo al suo interno i tre personaggi. Quello che è successo lì dentro infatti interpella esclusivamente la fede di chi ce l’ha. Intorno a quella grotta invece c’è una vita, vi sono degli atteggiamenti, si fanno strada sentimenti che non sono tanto lontani dalla vita, dagli atteggiamenti e dai sentimenti che ancora oggi siamo in grado di mettere in campo davanti a eventi particolari.
A incarnare questi atteggiamenti vi sono altrettanti personaggi che trovano spazio nel libro dei Vangeli, soprattutto nelle pagine che riportano quanto la prima comunità cristiana ha voluto trasmettere per aiutarci a guardare nel modo giusto un evento decisivo per la loro vita: la nascita di Gesù di Nazaret.
Immagino di fissare gli occhi dei per- sonaggi che hanno avuto un ruolo nell’evento, tanto da essere ancora ricordati e raffigurati nel presepe. Mi colpiscono innanzitutto gli occhi “lontani” dei potenti e quelli “distratti” del mondo circostante. È la storia di sempre! All’incapacità di mantenere il senso delle proporzioni e al non saper ridere di se stessi dei potenti si accompagna, anche in momenti decisivi della storia, l’atteggiamento di chi si lascia catturare dal vento di parole in libertà, il più delle volte portatrici di promesse irrealizzabili e comunque segnate da una buona dose di mancanza di realismo. Sono gli occhi con i quali hanno guardato alla nascita di Gesù Cesare Augusto, che ordina il censimento, e tutto un mondo fatto di gente “presa da altro”. Nei Vangeli entra in campo pure un personaggio inquietante che avrà molto a che fare con la nascita di quel Bambino: Erode e suoi occhi malati, voraci e omicidi. Dinanzi all’evento che si sta compiendo a Betlemme, Erode è cieco e chi è cieco vede buio anche dove c’è luce.
Chi ha occhi accecati dall’orgoglio del cuore vede un pericolo per se stesso anche nella mano tesa che vorrebbe aiutarlo. Non solo rifiuta l’aiuto, ma colpisce chi cerca di aiutarlo. E vuole convincersi di averlo fatto per il bene, per una giusta causa, magari “per legittima difesa”. Per fortuna, a ridimensionare i progetti omicidi di Erode e dei suoi occhi malati e voraci di potere vi sono gli occhi “entusiasti” dei Magi. Il loro avventuroso viaggio verso la sconosciuta Betlemme ci dice che per raggiungere obiettivi importanti nella vita si può partire da lontano. Si può partire dalla fede semplice e dall’entusiasmo per la ricerca, e allora la strada può essere molto breve. Si può partire dalla complessità, come quella della vita, ed allora la strada è molto più lunga, faticosa e irta di pericoli.
Che bello e quanto importante è, in quei momenti, poter contare su qualcuno o qualcuna che ti sostiene! Come la vicinanza che prende forma negli occhi “profondi” e “accoglienti” degli anziani. Il Vangelo parla, a questo proposito, di Simeone e Anna (Lc 2, 25-38). Le loro parole e i loro gesti continuano a dirci che c’è una sapienza umana – oltre quella che si impara faticando sui libri – che nessun libro può insegnare. La vita è una lunga pedagogia all’incontro e all’imprevisto. All’incontro con Dio per chi crede e comunque a qualsiasi incontro in un lungo cammino di purificazione degli occhi e del cuore. Come gli occhi degli angeli e quelli “semplici” dei pastori. Gli angeli, secondo il racconto evangelico, sono i primi ad accorgersi della nascita di Gesù e scelgono di comunicarlo ai “primi” tra gli uomini: i pastori. Questi, purificati dalla durezza della propria vita e dai lunghi tempi di solitudine che essa impone, sono stati sempre presi dalla Bibbia a modello di chi si carica della responsabilità dei fratelli condividendone la fatica; quella che tante volte segna i loro occhi. Gli stessi occhi umili, teneri e disponibili con i quali Giuseppe guarda gli occhi grandi che Maria ha dato al suo bambino. Occhi con i quali Gesù ha guardato il volto di Giovanni Battista, di Pietro, degli Apostoli; quegli occhi pieni di compassione con cui Gesù ha guardato la folla; gli stessi posati sul paralitico, sul cieco e sulla Maddalena; quegli occhi con i quali ha gustato la gioia di tutti coloro cui ha ridonato vita, salute, perdono e speranza; gli occhi con cui ha pianto Lazzaro e ha pianto su Gerusalemme; gli occhi che, tante volte, chi crede sente su di sé nella preghiera. Occhi che portano impressi in loro la luce dello sguardo di Maria.
Tendo a credere che anche lo stanco cerimoniale dello scambio degli auguri abbia bisogno di occhi illuminati da realismo e da coraggio per condividere un originale augurio che mi è stato inviato in questi giorni. Lo condivido volentieri con i lettori: «Ti auguro di vivere senza lasciarti comprare dal denaro. Ti auguro di vivere senza marca, senza etichetta, senza distinzione, senz’altro nome che quello di un uomo. Ti auguro di vivere senza rendere nessuno tua vittima. Ti auguro di vivere senza sospettare o condannare nemmeno a fior di labbra. Ti auguro di vivere in un mondo dove ognuno abbia il diritto di diventare tuo fratello e farsi tuo prossimo. Ti auguro… Una Vita Serena» (J. Debruynne).