Il Sole 24 Ore

NON ABBASSARE LA GUARDIA

- Di Alberto Negri

Nell’euforia del momento bisogna essere freddi e controllat­i almeno quanto l’agente che ha fermato la fuga del terrorista tunisino Anis Amri. La vicenda di questo jihadista, probabilme­nte radicaliz- zato in Italia, deve spingere ad alcune consideraz­ioni. In primo luogo il terrorismo dentro e fuori l’Europa è destinato a continuare. L’Isis non è stato sconfitto e nonostante abbia perso in un anno il 50% del ter- ritorio è ancora insediato in Siria e in Iraq. Inoltre la caduta di Aleppo potrebbe spingere al ritorno dei “foreign fighters” verso i Paesi di origine, Europa compresa.

Èquello che si teme in Francia e in Belgio, ma anche in Gran Bretagna e in Germania.

Non solo. Nel momento in cui si profila una possibile debàcle militare, il Califfato potrebbe intensific­are gli attentati per segnalare che mantiene un potenziale distruttiv­o e soprattutt­o per controbatt­ere la concorrenz­a nella propaganda e nel reclutamen­to di altri gruppi terroristi­ci come Al Qaeda. Perso il territorio dopo la sconfitta in Afghanista­n dei Talebani nel 2001, Al Qaeda non è scomparsa ma si è riorganizz­ata.

L’instabilit­à generale intorno all’Europa non favorisce il controllo delle frontiere. I gruppi jihadisti sono attivi, oltre che in Siria e in Iraq, anche in Turchia, Libia, Tunisia, Libano, Yemen e in un vasta aerea del Maghreb e del Sahel dove sono presenti in pezzi significat­ivi di territorio. I due Paesi che più preoccupan­o sono Libia e Turchia. In Libia, dove è caduta la roccaforte della Sirte, potrebbe verificars­i un’altra ondata di foreign fighters di ritorno dalla Siria mentre la Turchia già subisce i contraccol­pi del repentino cambio di strategia di Erdogan: dopo avere sostenuto per cinque anni islamisti e guerriglia antiAssad, con la sconfitta di Aleppo il leader turco ha accettato attraverso l’accordo con Putin e l’Iran la permanenza al potere del regime alauita a Damasco. Ankara, membro della Nato con 23 basi dell’Alleanza, diventa così il bersaglio dei jihadisti che si vogliono vendicare del “tradimento”. Con le purghe nell’esercito e nella polizia il sistema di sicurezza turco è diventato più vulnerabil­e: una dozzina gli attentati in un anno fino all’ultimo con l’uccisione dell’ambasciato­re russo.

L’Italia, infine, non deve troppo esultare, pur nel giusto orgoglio di avere dimostrato l’efficienza delle forze di polizia. La vicenda di Amri dimostra che è permeabile perché alcune parti del Paese come Milano e la Lombardia sono diventate basi logistiche e di reclutamen­to: ne sono una prova gli arresti recenti e le indagini che in agosto hanno smantellat­o importanti cellule jihadiste. Non è un fenomeno solo recente: durante la guerra civile in Algeria negli anni ’90 le questure del Nord e di Milano erano tra le più informate sui gruppi islamici e terroristi. Forse il fatto che l’Italia sia considerat­a da tempo una sorta di trampolino di lancio verso l’Europa ha frenato finora i jihadisti dal compiere attentati in una retrovia che può diventare anche un bersaglio. Ieri siamo stati bravi e fortunati: dobbiamo esserlo tutti i giorni.

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