Una pagina nuova nella lotta al terrorismo nel nostro Paese
Il legittimo orgoglio di un’operazione di polizia straordinaria dura lo spazio di un giorno o poco più. Oltre il clamore, tuttavia, occorre guardare avanti. L’uccisione di Anis Amri è una pagina nuova della lotta al terrorismo in Italia. Segna conferme e consolida certezze informative e operative. Ma apre anche scenari molto più insidiosi di prima.
Con l’eccezione dell’attentato del libico Mohammed Game davanti alla caserma Santa Barbara il 12 ottobre 2009, per la prima volta c’è sangue e morte sul territorio italiano a causa del terrorismo islamico. Il conflitto dei due agenti con Amri dimostra senza più dubbi la possibilità di avere nelle nostre piazze un fondamentalista pronto a uccidere. Il grido di Amri, “Allah Akbar”, prima di sparare, risuona inquietante ben oltre l’episodio. Perché non possiamo sapere quanti altri soggetti presenti in Italia, vissuti ai limiti degli equilibri sociali e non appartenenti all’Isis o Al Qaeda, ma convinti dall’ideologia della jihad, sono pronti a fare un gesto efferato come quello al mercato di Natale a Berlino.
Sarebbe sbagliato, tuttavia, liquidare il fermo e l’uccisione di Amri come un fatto fortuito e fortunato. Al contrario, come ha sottolineato il ministro dell’Interno Marco Minniti, «il sistema di controllo del territorio funziona». Non è una frase fatta. Nei grandi centri, tra Polizia di Stato e Arma dei carabinieri – ma anche l’apporto della Guardia di Finanza - c’è un servizio di pattuglie senza soste. Fermare un sospetto alle tre di notte e saper reagire in un attimo a una reazione fulminea di un terrorista è un’operazione da manuale. E non è accaduto in piazza Duomo, ma a Sesto San Giovanni.
Amri era in Italia da un giorno circa, veniva col treno dalla Francia. Ma in territorio francese è stato certo più giorni e ha passato il confine nonostante Parigi abbia disdettato gli accordi di Schengen. Nella nazione sventrata dalla strage del Bataclan e di Charlie Hebdo, dunque, i controlli scarseggiano. I due agenti della Polizia di Stato, ex volontari di un anno nell’Esercito italiano, hanno dimostrato dopo soli nove mesi di corso una professionalità da far invidia a tanti altezzosi poliziotti d’oltralpe.
Ma a questo punto sorgono diverse criticità inquietanti. Già dopo la strage di Nizza il direttore del dipartimento Ps, Franco Gabrielli, disse ai questori che «ogni agente è un potenziale obiettivo». Il conflitto con Amri è la prova provata. Ma la sovraesposizione mediatica mondiale mette in grave rischio Cristian Movio e Luca Scatà. Con un’incuria sciagurata di loro ormai si sa tutto, crolla qualunque possibile riservatezza, Gabrielli avverte: «Sono possibili azioni ritorsive».
Senza trascurare – gli addetti ai lavori l’hanno subito pensato – che il blitz di ieri con l’uccisione di Amri riaccende e sollecita gli
LO SCENARIO Il successo dell’operazione non può oscurare l’aumento dei rischi: servono controlli più intensi
animi più infuocati. Il desiderio di emulazione, di vendetta o di rivincita in qualche fondamentalista più inquieto trova oggi un motivo prepotente per uscire fuori. Controlli e pattugliamenti dovranno essere ancora più intensi. Occorre accettare che oggi siamo ancora più a rischio.
Minniti ha chiesto a prefetti e sindaci di stabilire un lavoro continuo, intrecciato e in piena intesa, per scannerizzare il territorio e ogni forma di inquietudine, di insidia e di minaccia. È una chiamata per tutti: dalle forze dell’ordine a quelle militari, ormai in piena attività di pubblica sicurezza, ma anche le forze di polizia locali. Resta il fatto che Polizia e Carabinieri, in testa a tutti, sono i nuclei speciali di azione. Ma per strada potrebbero essere molti di più. Quando Minniti era vice di Giuliano Amato al Viminale durante il governo di Romano Prodi, si tentò di nuovo un’operazione rivelatasi ancora oggi impossibile: togliere i poliziotti dalle scartoffie dei rilasci di passaporti e permessi di soggiorno per portarli in attività operative a cominciare dalle volanti. La soluzione sarebbe semplice: affidare le pratiche ai Comuni. In teoria, però. Nella pratica si è sempre alzato un muro.
La vicenda di Amri, dunque, non è solo un successo. Dimostra la necessità assoluta di avere agenti per strada, giovani e preparati. Qualunque cittadino preferirebbe aspettare un giorno in più per una pratica, davanti alla garanzia di un controllo più serrato e continuo. Non c’è più tempo da perdere.