«Bene l’applicazione non draconiana dei principi europei»
Il decreto legge sulle banche varato dal governo giovedì notte ha due pregi fondamentali: «Tutela effettivamente i risparmiatori e favorisce davvero la stabilità delle banche». Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, apprezza poi, in particolare, che il recepimento delle regole del burden sharing contenuto nel decreto legge costituisca «finalmente un’applicazione non rigida e non draconiana dei principi europei che, comunque, non sono tavole delle leggi di Mosè e vanno adattati alla situazione reale». Positiva la valutazione anche sulla norma (articolo 25) che consente alle banche sane intervenute a sostegno di riorganizzazioni in caso di crisi di spalmare su cinque anni i nuovi apporti al fondo di risoluzione. Se, però, la valutazione è «prevalentemente» positiva è perché non sono per ora comprese altre due norme «largamente annunciate e mai smentite da nessuno», quella fiscale sulle Dta che avrebbe alleggerito i bilanci 2016 delle banche «in un anno difficile» e quella che avrebbe fatto chiarezza sui termini per la trasformazione delle banche popolari, oggi fissati al 31 dicembre ma oggetto di una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato alla Consulta. Due norme scomparse dal testo del decreto nel passaggio finale al Consiglio dei ministri che Patuelli auspica «possano essere recuperate magari in forma di emendamento». C’è anche un’altra ragione di quel po' di prudenza racchiusa nel giudizio « prevalentemente» positivo: «Il riformismo - dice Patuelli - è un riformismo che non finisce mai, è un gerundio, un working progress e anche questa riforma avrà bisogno di successive puntate per completarsi».
Presidente Patuelli, il decreto contiene norme efficaci?
Sì, si tratta di misure scritte in termini generali e astratte, poi il decreto ha in sé anche la prima applicazione specifica al Monte Paschi, che considero positiva. Mi pare un modo giusto di procedere. Le misure generali sono efficaci per prevenire ed evitare le crisi bancarie e anche le procedure di risoluzione e di bail in. Confidiamo che questo decreto contribuisca a migliorare il clima di fiducia nazionale e internazionale verso il mondo produttivo italiano, i n particolare per il settore bancario che ne è fattore determinante.
Siamo a una svolta con il recepimento del burden sharing in chiave soft?
Non è detto che per risolvere un problema bisogna necessariamente crearne un altro. Spesso accade questo con norme europee che non sono il Vangelo e non hanno rilievo costituzionale. In questo caso vedo invece un’interpretazione evoluta di norme europee che per altro non abbiamo proprio inventato noi la notte scorsa. In Europa si sono già sperimentate diverse tattiche per arrivare a un’applicazione di questi principi che non creasse problemi eccessivi. La caratteristica specifica di questa applicazione italiana è che è una tattica preventiva. In che senso? C’è un’evoluzione rispetto all’esperienza delle 4 banche che furono commissariate diciotto mesi fa. Qui non si è commissariata la
«Il decreto tutela i risparmiatori e favorisce la stabilità delle banche» «L’intervento dello Stato sia temporaneo ma deve garantire i tempi giusti per il risanamento»
banca. Queste decisioni vengono prese non per rispondere a un dissesto acclarato ma a un esercizio di stress test. Non si risponde quindi con questa ricapitalizzazione a una carenza su indici patrimoniali in termini di stabilità finanziaria, ma, appunto, a un esercizio che prevede particolari condizioni astratte di stress.
L’intervento dello Stato nel capitale deve essere temporaneo. È giusto così?
In linea di principio è giusto, purché temporaneo non significhi eccessivamente sincopato. Torno al caso delle quattro banche per cui sono stati posti tempi di vendita troppo incalzanti, con il risultato di svalutarne il prezzo. La banca risanata dallo Stato va messa sul mercato quando sarà il mercato a chiederlo, non l’orologio della burocrazia.
Una personalità di formazione liberale come lei non dovrebbe guardare con sospetto alla nazionalizzazione di una banca?
Il mio maestro Giovanni Malagodi, che fu braccio destro di Mattioli, insegnava moderazione. Non bisogna avere un pregiudizio antistatalista né essere statalisti. Soprattutto nel settore bancario, che è più complesso degli altri, ci sono rischi mortali che devono essere compensati da forme di tutela altrettanto forti che lo Stato può dare. Anche negli anni '80, quando era in voga il mito di Thatcher e Reagan, non ho mai aderito a posizioni di liberismo estremo. Malagodi ricordava l’esperienza importantissima della nazionalizzazione delle banche negli anni '30 in Italia, quando le banche furono travolte dall’eccesso di acquisizioni di società industriali in crisi negli anni '20. Fu un intervento giusto e in quell’intervento affondano le riflessioni di Einaudi e anche la separazione fra banca e impresa. Lo Stato ci ha messo sessanta anni per rimettere quelle banche sul mercato. Sempre in nome della ragione, in questo caso speriamo impieghi meno. Ma l’importante è risanare la banca.