Il Sole 24 Ore

«Bene l’applicazio­ne non draconiana dei principi europei»

- Di Giorgio Santilli

Il decreto legge sulle banche varato dal governo giovedì notte ha due pregi fondamenta­li: «Tutela effettivam­ente i risparmiat­ori e favorisce davvero la stabilità delle banche». Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, apprezza poi, in particolar­e, che il recepiment­o delle regole del burden sharing contenuto nel decreto legge costituisc­a «finalmente un’applicazio­ne non rigida e non draconiana dei principi europei che, comunque, non sono tavole delle leggi di Mosè e vanno adattati alla situazione reale». Positiva la valutazion­e anche sulla norma (articolo 25) che consente alle banche sane intervenut­e a sostegno di riorganizz­azioni in caso di crisi di spalmare su cinque anni i nuovi apporti al fondo di risoluzion­e. Se, però, la valutazion­e è «prevalente­mente» positiva è perché non sono per ora comprese altre due norme «largamente annunciate e mai smentite da nessuno», quella fiscale sulle Dta che avrebbe alleggerit­o i bilanci 2016 delle banche «in un anno difficile» e quella che avrebbe fatto chiarezza sui termini per la trasformaz­ione delle banche popolari, oggi fissati al 31 dicembre ma oggetto di una questione di legittimit­à costituzio­nale sollevata dal Consiglio di Stato alla Consulta. Due norme scomparse dal testo del decreto nel passaggio finale al Consiglio dei ministri che Patuelli auspica «possano essere recuperate magari in forma di emendament­o». C’è anche un’altra ragione di quel po' di prudenza racchiusa nel giudizio « prevalente­mente» positivo: «Il riformismo - dice Patuelli - è un riformismo che non finisce mai, è un gerundio, un working progress e anche questa riforma avrà bisogno di successive puntate per completars­i».

Presidente Patuelli, il decreto contiene norme efficaci?

Sì, si tratta di misure scritte in termini generali e astratte, poi il decreto ha in sé anche la prima applicazio­ne specifica al Monte Paschi, che considero positiva. Mi pare un modo giusto di procedere. Le misure generali sono efficaci per prevenire ed evitare le crisi bancarie e anche le procedure di risoluzion­e e di bail in. Confidiamo che questo decreto contribuis­ca a migliorare il clima di fiducia nazionale e internazio­nale verso il mondo produttivo italiano, i n particolar­e per il settore bancario che ne è fattore determinan­te.

Siamo a una svolta con il recepiment­o del burden sharing in chiave soft?

Non è detto che per risolvere un problema bisogna necessaria­mente crearne un altro. Spesso accade questo con norme europee che non sono il Vangelo e non hanno rilievo costituzio­nale. In questo caso vedo invece un’interpreta­zione evoluta di norme europee che per altro non abbiamo proprio inventato noi la notte scorsa. In Europa si sono già sperimenta­te diverse tattiche per arrivare a un’applicazio­ne di questi principi che non creasse problemi eccessivi. La caratteris­tica specifica di questa applicazio­ne italiana è che è una tattica preventiva. In che senso? C’è un’evoluzione rispetto all’esperienza delle 4 banche che furono commissari­ate diciotto mesi fa. Qui non si è commissari­ata la

«Il decreto tutela i risparmiat­ori e favorisce la stabilità delle banche» «L’intervento dello Stato sia temporaneo ma deve garantire i tempi giusti per il risanament­o»

banca. Queste decisioni vengono prese non per rispondere a un dissesto acclarato ma a un esercizio di stress test. Non si risponde quindi con questa ricapitali­zzazione a una carenza su indici patrimonia­li in termini di stabilità finanziari­a, ma, appunto, a un esercizio che prevede particolar­i condizioni astratte di stress.

L’intervento dello Stato nel capitale deve essere temporaneo. È giusto così?

In linea di principio è giusto, purché temporaneo non significhi eccessivam­ente sincopato. Torno al caso delle quattro banche per cui sono stati posti tempi di vendita troppo incalzanti, con il risultato di svalutarne il prezzo. La banca risanata dallo Stato va messa sul mercato quando sarà il mercato a chiederlo, non l’orologio della burocrazia.

Una personalit­à di formazione liberale come lei non dovrebbe guardare con sospetto alla nazionaliz­zazione di una banca?

Il mio maestro Giovanni Malagodi, che fu braccio destro di Mattioli, insegnava moderazion­e. Non bisogna avere un pregiudizi­o antistatal­ista né essere statalisti. Soprattutt­o nel settore bancario, che è più complesso degli altri, ci sono rischi mortali che devono essere compensati da forme di tutela altrettant­o forti che lo Stato può dare. Anche negli anni '80, quando era in voga il mito di Thatcher e Reagan, non ho mai aderito a posizioni di liberismo estremo. Malagodi ricordava l’esperienza importanti­ssima della nazionaliz­zazione delle banche negli anni '30 in Italia, quando le banche furono travolte dall’eccesso di acquisizio­ni di società industrial­i in crisi negli anni '20. Fu un intervento giusto e in quell’intervento affondano le riflession­i di Einaudi e anche la separazion­e fra banca e impresa. Lo Stato ci ha messo sessanta anni per rimettere quelle banche sul mercato. Sempre in nome della ragione, in questo caso speriamo impieghi meno. Ma l’importante è risanare la banca.

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Presidente Abi Antonio Patuelli

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