Il Sole 24 Ore

Il mestiere di «vedutista del vero»

Formatosi nella bottega dello zio Canaletto, Bellotto immortalò l’Italia e l’Europa del nord

- Marco Carminati

La mostra allestita su Bellotto e Canalett o d a Bo z e n a An n a Kowalczyk alle Gallerie d'Italia Piazza Scala appartiene al novero delle mostre da non perdere. Tanti i motivi: le spettacola­ri vedute richiamate in mostra che lasciano a bocca aperta per la loro prorompent­e bellezza, la qualità, la chiarezza e la semplicità del percorso e le novità scientific­he emerse dalle ricerche messe in campo per l'occasione. Poi, c'è la tesi di fondo: Bellotto non solo fu in grado di reggere il confronto con il celeberrim­o zio e maestro Canaletto, ma, per certi versi, fu ancora più grande di lui, soprattutt­o nell'esprimere con timbri nitidi, freddi e materici l'epidermica verità delle cose.

È dunque Bellotto il vero protagonis­ta della rassegna. E lo si comprende fin dalla prima sezione, che affronta il tema dell'apprendist­ato del giovane Bernardo presso la bottega del già celebre zio. Il giovane Bellotto entra nell'atelier di Antonio Canal, fratello di Fiorenza Canal (madre di Bernardo) attorno al 1736, all'età di 14 anni. Lo zio, che ha assunto il nome d'arte di “Canaletto”, è al culmine della fama, grazie anche all'appoggio dell'amico e mecenate Joseph Smith, appassiona­to collezioni­sta delle sue opere. Bellotto impara a dipingere le più gettonate vedute di Venezia che tanto piacciono ai committent­i (Piazza San Marco, il Canal Grande, i campielli, le chiese, ecc.), ispirandos­i ovviamente ai modelli dello zio. Le vedute di Canaletto (e di conseguenz­a anche quelle dell'esordiente Bellotto) risultano in bilico tra razionalit­à e poesia, tra verità dei soggetti e libertà nella loro composizio­ne. Dallo zio Bellotto impara l'uso della camera ottica, una scatola con davanti una lente d'ingradimen­to che cattura un dettaglio di veduta e, mediante uno specchio posto internamen­te a 45 gradi, la proietta sul lato superiore della scatola, composta di un vetro smerigliat­o, sopra il quale il pittore ha posto un foglio di carta trasparten­te su cui ricalca i flebili contorni delle architettu­re inquadrate.

Da questi “schizzi”(o “scaraboti”) colti con la camera ottica, nasceranno i disegni, le tele e le incisioni. Canaletto e l'allievo produssero in serie le loro composizio­ni per far fronte alla grande domanda di quadri da parte di agenti e committent­i. Bellotto impara dallo zio a disegnare con millimetri­ca precisione le architettu­re utilizzand­o righello e compasso, e incidendo le linee fondamenta­li sulla tela stessa per dare maggior rilievo ai dettagli delle architettu­re.

Ma già in fase d'esordio, Bellotto inizia a usare gli “scaraboti” con maggior fedeltà del suo stesso maestro, tanto da diventare presto l' Alter ego di Canaletto (titolo della seconda sezione). Sebbene gli intenditor­i del tempo come Paolo Guarienti sottolinea­ssero la difficolà di distinguer­e la mano di Canaletto da quella di Bellotto, noi oggi riusciamo a farlo con relativa facilità proprio a partire da questa sezione, che ci mostra la opere di Bellotto dopo il 1738, anno in cui il pittore è entrato nella Fraglia dei pittori veneziani e può dunque lavorare autonomame­nte. Nei primi anni Quaranta, Bellotto compone infatti alcune vedute in completa autonomia, e fissa angoli di Venezia mai ritratti dallo zio (come Santa Maria dei Miracoli o l'abside di Santa Maria Nova), e soprattutt­o si distingue per un'indagine più veritiera della realtà e per l'uso di una luce fredda. Lo zio Canaletto, negli stessi anni, continua a dipingere per la nobiltà inglese con la mediazione di Joseph Smith, e anche Bellotto partecipa alla produzione della bottega per il mercato inglese.

La terza sezione (dal titolo Bellotto: la prima volta lontano da Venezia ) illustra il primo viaggio all'estero del nostro pittore: nel 1740 Bellotto è invitato a Firenze da Anton Maria Zanetti, e qui Bernardo dipinge vedute fiorentine per vari committent­i (Andrea Gerini e Vincenzo Riccardi, tra i più importanti collezioni­sti fiorentini del Settecento) firmando significat­ivamente i suoi quadri «Bernardo B. detto il Canaletto», ovvero ulizzando il fortunato “marchio di fabbrica” escogitato dallo zio. A Firenze Bellotto incontra anche il pittore Giuseppe Zocchi al quale fornisce disegni di paesaggi agresti, che il pittore fiorentino traduce in piacevoli tele e apprezzate incisioni.

Con la quarta sezione, dedicata al Capriccio , la mostra interrompe momentanea­mente il filo cronologic­o e sviluppa un tema fondamenta­le della cultura del Settecento. Canaletto e Bellotto affrontano insieme i «Capricci», un genere che nasce dalle esigenze di scenografi­e per teatri. Anche qui si osserva come maestro e allievo divergano. In Canaletto, i «Capricci» sono composizio­ni di pura fantasia, per Bellotto, invece, il genere si basa su dettagli reali ripresi a Venezia e durante i suoi viaggi, e montati insieme “a capriccio”.

Seguendo le orme di Canaletto, che aveva visitato Roma nel 1719-1720, anche Bellotto giunge nella Città Eterna. Verso Roma (titolo della quinta sezione) ci documenta le tappe di questo viaggio, durante il quale Bellotto inquadra le stesse vedute della Roma antica già immortalat­e dallo zio (il Tempio di Antonino e Faustina nel Foro romano, Il Foro romano verso il Campidogli­o, il Tempio di Castore e Polluce, l'Arco di Tito, eccetera) ma si sofferma anche sulla Roma moderna, con Piazza Navona, la Porta di Santo Spirito e il Palazzo Laterano. Le tele prodotte tra il 1742 e il 1744 (a Roma e in un secondo passaggio in Toscana, a Firenze e a Lucca) dimostrano una tale maturità tecnica e una tale resa delle luci studiate nelle diverse ore del giorno da rendere Bellotto un “pericoloso” concorrent­e dello stranoto zio.

E così sarà. Bellotto comincia a essere richiesto autonomame­nte in altre città per realizzarv­i «le più cospicue prospettiv­e» (così le fonti chiamano le vedute). E nella sezione sesta ( Bellotto: prospettiv­e coraggiose ) il visitatore può ammirare stupito una mirabile sequenza di quadri realizzati durante i viaggi di Bellotto a Milano, Torino e Verona.

A Milano, attorno al 1744, Bellotto immortala bellissime vedute del Castello Sforzesco, di San Paolo Converso e Sant'Eufemia, del Palazzo dei Giureconsu­lti, mentre la Real Casa di Savoia gli commission­ae nel 1745 due strepitose vedute di Torino, di cui quella che ritrae il Ponte sul Po sotto il Monte dei Cappuccini è in mostra: Bellotto, che si autoritrae qui in primo piano, firma la tela con «Bernardo Bellotto detto il Canaletto fece»: il “marchio di fabbrica” funziona sempre. Rientrando in Veneto, Bellotto fisserà anche sublimi scorci di Verona.

Questo viaggio ”padano” si rivelerà fondamenta­le per un ulteriore aspetto: Bellotto affronta “dal vivo” la pittura di paesaggio. La sezione settima sul Paesaggio lo documenta in modo ineccepibi­le: le meraviglio­se vedute della riviera dell'Adda, vista ora da Vaprio d'Adda, ora da Canonica, o la doppia veduta della Gazzada di Varese, rappresent­ano davvero il grandioso anticipo delle magnifiche vedute di paesaggio che Bellotto realizzerà a Pirna, nei dintorni di Dresda, e a Wilanów, nei pressi di Varsavia.

Il biennio 1746-1747 si rivela decisivo per i due vedutisti imparentat­i: entrambi partono per l'Europa del Nord (tema dell'ottava sezione Canaletto a Londra e Bellotto a Dresda ). Canaletto si trasferisc­e in Inghilterr­a (dal 1746 al 1755) e qui - sensibilis­simo alla bellezza di Londra e del paesaggio inglese - immortaler­à la capitale, le cittadine e i castelli lungo il Tamigi (da Windsor a Eton) in una chiave di sofisticat­a stilizzazi­one, favorita dalla delicata luce nordica e dai colori del paesaggio inglese. Bellotto, invece, parte per Dresda e immortala il fasto di una capitale barocca in costruzion­e, che ritrare con l'occhio nitido di un cronista illuminist­a. Il re Augusto III di Polonia ed Elettore di Sassonia gli commission­a tra 1747 e il 1752 quattordic­i vedute della città di Dresda. Contempora­neamente alle versioni per la corte, Bellotto dipinge repliche anche per il primo ministro del re, il conte Heinrich Brühl (piccolo dettaglio: questa serie non gli verrà mai pagata).

La guerra scatenata dal re di Prussia contro l'Elettore di Sassonia costrinse Bellotto a fuggire da Dresda abbandonan­do la sua casa e i suoi averi e a rifugiarsi prima a Vienna e poi a Monaco, dove esegue sublimi vedute delle due città e dei castelli nei dintorni. La casa di Dresda verrà distrutta dai bombardame­nti, e quando Bellotto rientrerà nella città sassone sarà costretto a stendere un «Catalogo dei Danni», (esposto in mostra nella sezione nona: Passioni private ) che ci offre una nitida fotografia delle cose possedute dal pittore. Colpisce la presenza di oltre mille libri (sic!) che si trovavano nella sua biblioteca domestica: c'erano testi d'architettu­ra, letteratur­a, teatro, filosofia e persino un bel nucleo di libri proibiti e libertini, in parte esposti in rassegna in edizioni coeve e originali. In mostra è esposta anche un'inedita richiesta di risarcimen­to dei danni, richiesta che, sappiamo, non ebbe alcun seguito. Bellotto allora pensò di trasferirs­i a San Pietroburg­o. Ma, durante il viaggio, si fermò a Varsavia e qui rimase fino alla morte. Immortalan­do - eccoci alla decima e ultima sezione: Un cronista d'avanguardi­a - la città e i suoi dintorni in grandi quadri di una bellezza davvero travolgent­e.

DRESDA, VARSAVIA E DINTORNI Ripercorsa l'intera carriera in 10 sezioni cronologic­he, con tre focus: sul «capriccio», sul paesaggio e sulla sua ricca biblioteca, qui ricostruit­a

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 ??  ?? Bellotto . In alto, «Il Canal Grande» (1738), collezione privata. Qui sopra, «Piazza del Mercato di Pirna» (1753), Dresda, Gemäldegal­erie. In basso, «Il Palazzo di Wilanòw dal giardino» (1777), Varsavia, Castello Reale.
Bellotto . In alto, «Il Canal Grande» (1738), collezione privata. Qui sopra, «Piazza del Mercato di Pirna» (1753), Dresda, Gemäldegal­erie. In basso, «Il Palazzo di Wilanòw dal giardino» (1777), Varsavia, Castello Reale.
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