Wall Street s’inventa un altro «paradigma»: la «trumponomics»
Tutte le illusioni sono finite male e, come consigliano El Erian e Gundlach, ora è il tempo della prudenza
Di «nuovi paradigmi» è costellata la storia dei mercati finanziari, specie negli ultimi lustri. E, in tutti i casi, l'illusione è finita in lacrime. Vent'anni fa, il nuovo paradigma dell'economia era la “rivoluzione” Internet, cosicché tutto quello che in qualche modo sapeva di Web e di tecnologia veniva nell'alchimia della borsa trasformato in oro. Dieci anni fa l'alchemica euforia aveva contagiato la finanza e si credeva, o si faceva credere, che la montagna di debiti accumulati da imprese e privati cittadini, costruiti con la complicità delle banche centrali e la benedizione delle agenzie di rating, fosse una miniera d'oro. Così persino i debiti insolventi avevano finito per meritarsi un credito da tripla A.
Oggi si avverte qualcosa di più folle sui mercati americani, poiché il nuovo paradigma ha una matrice politica e una strampalata colorazione ideologica, che lo rende ancor più effimero delle precedenti illusioni. Covava negli Stati Uniti, come in Europa. Ha preso forza con la Brexit e pare aver trovato una consacrazione con la vittoria elettorale di Donald Trump. In America, combina una risorgente ideologia nazionalista con il protezionismo in economia, come spesso è avvenuto nei secoli passati. Coniuga il liberismo più estremo (tasse societarie al 15% e tagli a quelle dei più ricchi) alla voglia di più Stato negli investimenti pubblici, nella convinzione che l'aumento dei tassi d'interesse e del debito pubblico siano trascurabili conseguenze. Infine, si traduce in politica nell'insofferenza per le élite, il politicamente corretto e l' establishment in generale; per cui il ruolo della stessa banca centrale è messo in discussione. Nelle schegge più estreme recupera le connotazioni della destra totalitaria, convinta, come si legge su alcuni blog inneggianti alla (presunta) rivoluzione trumpiana, che il «liberismo sia ormai un credo morente». Profeta e duce di questa «rivoluzione» sarebbe proprio il nuovo presidente americano, poiché una parte del mercato finanziario pare aver preso alla lettera tutte le promesse e le provocazioni proferite da Trump in campagna elettorale. Wall Street è volata del 9% dai primi di novembre,e fa un +11% da inizio anno, con utili societari a crescita zero, o negativi se li si depura dall'artificio dei buy back (acquisto di azioni proprie); il rendimento dei Treasury è salito di un punto percentuale al 2,6% e il dollaro è ai massimi da 14 anni.
Nel nuovo paradigma contano la drastica riduzione fiscale e gli investimenti in infrastrutture, ca- paci da soli a far volare il pil americano; gli effetti negativi del protezionismo, l'aumento dell'inflazione, il dollaro forte che frena le esportazioni e mette in crisi i Paesi emergenti, i più alti tassi d'interesse e l'esplosione del debito pubblico sono invece conseguenze del tutto secondarie e persino trascurabili per Wall Street. Una politica monetaria più restrittiva, che tanto aveva afflitto gli investitori fino a un mese e mezzo fa, sembra far parte del vecchio ordine delle cose. E a una Fed, che ora ha mostrato un briciolo di aggressività, l'S&P ha risposto con un nuovo record.
Non occorre essere pessimisti per credere che questa euforia lascerà presto il passo a più ragionati consigli, anche perché non è detto che Trump intraprenda davvero quella rivoluzione che il mercato gli attribuisce e soprattutto perché è assai dubbio che il Congresso la possa interamente consentire. E non necessariamente si è contro Trump nel predire una vicina correzione dei mercati, se anche un dichiarato estimatore della politica economica del nuovo presidente, come Jeffrey Gundlach di DoubleLine , il più grande fondo obbligazionario, ha avvertito che è «troppo tardi per cavalcare il trend di Trump». Secondo il gestore, i rendimenti dei Treasury sono saliti fin troppo e troppo in alto s'è spinto anche il dollaro. In particolare, l'euforia di Wall Street avrebbe i giorni contati: al massimo durerà fino al 20 gennaio, sostiene, il giorno dell'insediamento ufficiale del tycoon alla Casa Bianca. Qualche giorno fa, pure Mohamed El-Erian di Allianz, pur apprezzando la linea del neo presidente, ha dichiarato che è giunto il tempo della prudenza.