Il Sole 24 Ore

Mps torna pubblica, cosa cambia per i risparmiat­ori

Il piano di salvataggi­o «privato» è fallito: gli scenari per i bondisti e i problemi sistemici anche sul fronte Mifid

- Nicola Borzi

«La difficile arte del banchiere» è la raccolta di scritti di Luigi Einaudi pubblicata da Laterza e distribuit­a dall’Associazio­ne bancaria italiana come strenna natalizia. Oggi però, nel momento in cui il Monte dei Paschi di Siena viene nazionaliz­zato di fatto dopo il fallimento dell’operazione di salvataggi­o “privata”, è ben più difficile l’arte del risparmiat­ore. Con il “burden sharing” cosa succede agli azionisti? Cosa accade ai detentori di obbligazio­ni subordinat­e? E a quelli che hanno bond “senior”? E i correntist­i, possono stare tranquilli?

Partiamo da un’osservazio­ne preliminar­e. Il fallimento del salvataggi­o “privato” di Mps non deriva dalla mancata adesione dei risparmiat­ori che avevano in portafogli­o bond subordinat­i all’offerta di conversion­e in azioni. I risparmiat­ori, pur di salvare almeno in parte i loro risparmi, hanno in gran parte aderito al piano. A non aver avuto fiducia nel futuro del Monte sono stati gli investitor­i che avrebbero dovuto aderire alla fase 2, l’aumento di capitale. I fantomatic­i “anchor investor”, che fossero del Qatar o della Cina, non si sono visti e la loro latitanza ha determinat­o il fallimento dell’offerta azionaria destinata a raccoglier­e la cifra mancante tra i 2,45 miliardi di bond subordinat­i offerti alla conversion­e e i 5 miliardi di rafforzame­nto patrimonia­le richiesto. Poiché il consorzio dell’aumento non offriva la garanzia di subentro per la quota inoptata, la seconda gamba del piano è saltata.

A questo punto lo Stato è intervenut­o con il decreto legge varato dal Consiglio dei ministri nella notte del 22 dicembre. È intervenut­o in via precauzion­ale, per evitare rischi sistemici da un problema di sostenibil­ità di Mps che a ora non c’è ma che ci potrebbe essere a mesi, visto anche il calo degli indici di liquidità della banca dovuto alla fuga dei depositi. Eppure i depositi non sono per nulla a rischio, né sopra né sotto la soglia dei 100mila euro, così come i bond “senior” (i non subordinat­i). Perché? Perché Mps non è (ancora) nella situazione di insolvenza che richiedere­bbe un bail in o una misura di “risoluzion­e” come quella approvata il 22 novembre 2015 per Popolare Etruria, Banca delle Marche, Cari-Ferrara e Cari-Chieti. Si trova però in una situazione di “rischio” e dunque richiede un intervento preventivo. Questo intervento preventivo, in base al decreto legislativ­o 180 del 16 novembre 2015, che ha recepito in Italia la direttiva sulla risoluzion­e delle crisi bancarie (Brrd), prende la forma di “burden sharing”, cioé di comparteci­pazione dell’onere del salvataggi­o tra diverse categorie di stakeholde­r, cioé di portatori di interessi (è la forma di salvataggi­o precauzion­ale che fu applicata nel caso di Tercas). Le categorie coinvolte sono gli azionisti e i detentori di bond subordinat­i, che dovranno sopportare l’onere del salvataggi­o insieme allo Stato. Vediamo come.

Lo Stato, con il decreto varato nella notte del 22 dicembre, sulla scorta dell’autorizzaz­ione ottenuta del Parlamento (e del via libera di Bruxelles), utilizzerà — per Mps e per altre banche in situazioni di necessità (Veneto Banca e Popolare Vicenza ma anche banche minori) —, sino a 20 miliardi provenient­i dall’aumento dei debito pubblico. Li utilizzerà per entrare nel capitale di Mps per un periodo predetermi­nato in accordo con l’Unione Europea, probabilme­nte inferiore a 18 mesi, diluendo fortemente le azioni in circolazio­ne. Gli azionisti attuali quindi perderanno gran parte del valore del loro investimen­to.

Poi si passerà ai subordinat­i che saranno convertiti in azioni di nuova emissione. Si convertira­nno innanzitut­to in azioni i bond subordinat­i Tier 1; se questi non basteranno a mettere in sicurezza la banca si convertira­nno i subordinat­i Tier 2; se nemmeno questi basteranno a mettere in sicurezza la banca, si passerà a tutti gli altri bond subordinat­i. A quel punto, in base alle norme europee che prevedono la possibilit­à di prevenire o evitare liti giudiziari­e per chi ritenesse di essere stato danneggiat­o dalla sottoscriz­ione di titoli rischiosi di cui non gli era stata spiegata correttame­nte la natura al momento della

sottoscriz­ione ( misselling), la banca potrà chiedere un intervento per evitare liti legali legate al collocamen­to di questi titoli, che potrebbe non essersi svolto in modo corretto in funzione dei profili degli investitor­i. A questi azionisti “forzati” la banca proporrà di riacquista­re “in nome e per conto del ministero” le azioni derivanti dall’applicazio­ne del “burden sharing” offrendo in cambio come corrispett­ivo «obbligazio­ni non subordinat­e emesse alla pari» da Mps o da società del suo gruppo per un valore nominale pari al prezzo corrispost­o dal ministero.

Saranno esclusi però da questo concambio tra vecchi subordinat­i, nuove azioni e nuovi bond “senior”, molto macchinoso, le “contropart­i qualificat­e” e i “clienti profession­ali”. Le contropart­i qualificat­e sono le imprese di investimen­to, le banche, le imprese di assicurazi­oni, i fondi comuni, i gestori, i fondi pensione, gli intermedia­ri finanziari, gli istituti di moneta elettronic­a, le Fondazioni bancarie, i Governi nazionali e i loro corrispond­enti uffici, compresi gli organismi pubblici incaricati di gestire il debito pubblico, le Banche centrali e le organizzaz­ioni sovranazio­nali a carattere pubblico. I clienti profession­ali sono quelli profilati come tali dal proprio intermedia­rio, cioé quelli ritenuti in grado di prendere autonomane­nte decisioni d’investimen­to e di capire i rischi connessi. Può essere classifica­to come cliente profession­ale solo chi soddisfa almeno due dei seguenti criteri: ha svolto frequentem­ente operazioni finanziari­e; ha un ampio portafogli­o titoli; ha lavorato nel settore dei servizi d’investimen­to. Costoro rimarranno nuovi azionisti. Invece i risparmiat­ori, cioé i clienti retail, specialmen­te quelli che hanno sottoscrit­to il bond subordinat­o non quotato da 2,16 miliardi, codice Isin IT00043525­86 up- per Tier 2 (più rischioso dei lower Tier 2 per istituzion­ali) scadenza 15 maggio 2018 a tasso variabile con taglio da 1.000 euro, potranno convertire il valore delle nuove azioni Mps in bond senior. Nel frattempo, per evitare speculazio­ni, tutti i titoli quotati di Mps (l’azione e 105 bond) sono stati “sospesi” su tutti i mercati.

A questo punto si apre comunque una serie di problemi. Ad esempio si acuisce lo scontro con i risparmiat­ori “azzerati” il 22 novembre 2015, per i quali il “ristoro automatico” è assai farraginos­o e manca ancora la norma sull’arbitrato all’Autorità anticorruz­ione. Nel frattempo tra l’altro tra poco partirà l’Arbitro Consob. Ma non basta: i risparmiat­ori “vecchi” azionisti, diluiti dal burden sharing, sono già sul piede di guerra. C’è poi l’effetto contagio sistemico sui subordinat­i: il crollo dei corsi dei bond subordinat­i di Mps delle ultime sedute ha coinvolto i subordinat­i di al- tri istituti. In base ai dati di Skipper Informatic­a, il 22 dicembre il subordinat­o Veneto Banca primo dicembre 2025 Isin XS13275140­45 quotava a 46,09 con un rendimento effettivo lordo annuo a scadenza del 27,43%; il sub Vicenza 24 giugno 2018 Isin IT00047242­14 trattava a 64,69 con un rendimento del 38,48%; il sub Carige 20 dicembe 2020 7,321% Isin XS05702703­70 quotava 69,93 e rendeva il 18,66% lordo.

Il problema riguarda dunque l’effetto sistemico di questa nazionaliz­zazione di fatto. Salvare Mps con un intervento pubblico si poteva realizzare anche in estate, alle stesse condizioni di oggi, o senza danni ai risparmiat­ori purché prima del varo della direttiva Brrd avvenuto del 15 maggio 2014. Perché si è deciso di procrastin­are il salvataggi­o sino a oggi?

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