Allo Stato sarebbe convenuto convertire i «Monti bond»
Minu svalenze sui crediti: almeno quattro miliardi di mancati introiti fiscali
C'è ancora chi ama parlare di Mps come della terza banca italiana ma la vicenda dell'istituto di credito più vecchio in attività al mondo è, ancora una volta, la dimostrazione di come si tradisce il risparmio degli italiani. Dopo otto miliardi di euro di aumenti di capitale andati in fumo nell'ultimo biennio (con la promessa che sarebbero stati sufficienti), se ne sono chiesti altri cinque. Dentro Mps è successo di tutto e certamente la Vigilanza non ha brillato. Prima si è acconsentito a un acquisto “capestro” come quello di Banca Antonveneta, poi sono arrivati i derivati Santorini e Alexandria per “coprire” il buco, riapparso però di recente più grande di prima. Dulcis in fundo, si fa per dire, è arrivata la crisi del sistema industriale italiano, quel capitalismo buono ma anche di relazione che non ha ripagato i propri debiti generando una montagna di crediti deteriorati per 18 miliardi. Insomma, i depositi dei poveri risparmiatori sono stati usati come carne da macello.
Investitori istituzionali della City hanno detto che l'operazione di rafforzamento patrimoniale di Mps è opaca e se ne sono tenuti alla larga. Non a caso è dovuto intervenire lo Stato. È stato invece esplicitato (nel prospetto informativo relativo alla conversione dei bond subordinati di Mps in azioni) che recuperare i crediti deteriorati costerà oltre 700 milioni. «Questa commissione è monstre (come lo è peraltro l'importo dei crediti deteriorati ceduti di 27 miliardi) — spiega Carla Ruocco, ex vicepresidente Commissione Finanze della Camera — e dovrebbe essere dettagliata in tutte le sue componenti; per esempio, quanto è fissa, quanto in base al raggiungimento di specifici risultati e secondo quali tempistiche. Manca totalmente la trasparenza e l'unica certezza è che si è chiesto a 40mila risparmiatori (quelli cioè che hanno sottoscritto nel 2008 un bond subordinato Mps per circa due miliardi di euro) di farsi carico delle perdite della banca convertendo — continua la deputata — “spintaneamente” le loro obbligazioni subordinate in azioni sbandierando il fatto che è l'Europa a chiederlo tramite la regola del burden sharing».
Ma era possibile evitare questa situazione? «Sì — risponde Marcello Minenna, docente della London School of Economics —, sarebbe stato sufficiente nazionalizzare la banca attraverso la conversione dei quattro miliardi di “Monti bond” emessi nel 2012 e che avevano peraltro la caratteristica di aggirare le stringenti regole europee del bail-in, già introdotte in maniera soft nell'Eurozona dal 1° agosto 2013». Insomma cambiano i Governi, cambiano le strategie ma la piena tutela del risparmio degli italiani continua a essere inattuata.
I “Monti bond” sono però stati rimborsati con gli aumenti di capitale salvando così i contribuenti a scapito dei risparmiatori-investitori. «Questo salvataggio — conclude Ruocco — è apparente: ogni qualvolta una banca contabilizza perdite, genera infatti un mancato gettito per l'Erario e quindi un maggiore deficit per lo Stato. Mps, contabilizzando perdite su crediti negli ultimi anni per oltre 15 miliardi, ha generato un mancato gettito (per la non tassazione dei ricavi) di oltre 4 miliardi che ricade sempre sui contribuenti italiani».