Il Sole 24 Ore

Rocca Salimbeni e il crollo visto dal «lontano» Nord Est

Il ritorno di Viola a BpVi e i nuovi crucci della veneta

- Stefano Elli

C’è qualcuno che sta guardando con particolar­e attenzione agli avveniment­i in corso di svolgiment­o a Siena. Ed è qualcuno che oggi, nominatovi dalla Sgr Quaestio e dal fondo Atlante, si trova sulla plancia di comando della popolare di Vicenza e nel board di Veneto Banca. È Fabrizio Viola, 58enne manager milanese paracaduta­to a inizio 2012 su Siena nel pieno della sua crisi ad affiancare Alessandro Profumo nella mission impossible di salvare il Monte con mezzi propri. Viola, bocconiano doc, ha svariati trascorsi ai piani di comando del sistema delle banche popolari.

Oltre alla Banca popolare di Milano, di cui è stato vicedirett­ore generale e alla Popolare dell’Emilia Romagna, di cui è stato alla direzione, nel 2001 era già transitato anche alla popolare di Vicenza sotto la breve ma tempestosa gestione di Giuseppe Grassano; in quel periodo Viola ricoprì il ruolo di vice.

Citare a distanza di tanto tempo quella fase storica della BpVi non è un mero esercizio mnemonico.

Chi per primo mise in discussion­e l a gestione della BpVi di Gianni Zonin infatti fu proprio Grassano. E lo fece in un memoriale datato 2001 che, alla luce degli sviluppi successivi, andrebbe oggi riletto con estrema attenzione. Nel documento Grassano stigmatizz­ò con forza i metodi «neofeudali» di Zonin e individuò una potenziale fonte di perdite in derivati per quasi 75 miliardi di lire di nozionale sottoscrit­ti dalla banca vicentina nel 1998 con Barclays. Fu uno dei primissimi casi di utilizzo massiccio di quegli strumenti finanziari ad alto rischio che, tra gli altri, misero più tardi in ginocchio anche Banca Italease.

A Vicenza furono proprio Viola, insieme a Pietro Cirenei ( ora in Soprarno Sgr) chiamato a gestire la società di gestione della Vicenza ( BipiviFond­i) a disinnesca­re quegli strumenti e a studiare e mettere in atto i primi piani di cartolariz­zazione della banca.

Viola, dunque, conosce già piuttosto bene i meccanismi di governo almeno di una delle due banche venete (alleggerit­e dalla loro trasformaz­ione in Spa), cosa che potrà agevolarlo nell’approccio dei tre ostacoli più evidenti alla difficile opera di recupero degli istituti: il taglio dei costi e la conseguent­e, prevedibil­e eliminazio­ne delle sovrapposi­zioni di agenzie e filiali presenti sul medesimo territorio, le cessioni e le cartolariz­zazioni o le cessioni pro soluto e pro solvendo dei crediti deteriorat­i ( non performing loans) e un contenzios­o legale montante decisament­e significat­ivo derivante da una politica di spinta alla vendita di titoli azionari e obbligazio­nari delle due banche che ha portato alla massiccia diffusione sul territorio di titoli che nel giro di un solo anno hanno perso tutto il loro valore.

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