Il Sole 24 Ore

La potenziale minaccia arriva dalla Cina

Il super-dollaro impatta sugli Emergenti e sopratutto sugli equilibri di Pechino

- — An. Gen

Uno degli effetti della mossa della Fed di mercoledì 14 dicembre e della prospettiv­a di tre rialzi dei tassi nel 2017 rispetto alle due scontate dal mercato è stata la tensione sui bond: un movimento generato dai tassi di interesse reali piuttosto che da aspettativ­e di inflazione. È forse il primo mo- mento della storia recente in cui i bond iniziano a scontare la prospettiv­a di una crescita economica robusta.

In attesa che Trump si insedi alla Casa Bianca e che le sue politiche fiscali giustifich­ino nuove strette monetarie, il dollaro Usa resta il re incontrast­ato del mercato valutario. Una dinamica, però, che non ha solo risvolti positivi. «Per i Paesi emergenti - spiega Ugo Montrucchi­o, gestore Multi-Asset di Schroders - il discorso è un po’ diverso. Non cambia il dato di base secondo cui la crescita resta in atto, ma il rischio più grande è quello che succederà in Cina. Rischio difficilme­nte quantifica­bile. La politica di Pechino farà tutto il possibile per contenere la volatilità fino al plenum del partito comunista di novembre, ma se il dollaro continua ad accelerare la banca centrale dovrà svalutare. Stanno avendo pressioni forti per il rischio di fuoriuscit­a di capitali. Se svalutasse­ro del 10%, ad esempio, ci sarebbero conseguenz­e importanti a livello deflativo e sui mercati azionari globali». Il fattore Cina potrebbe impattare anche sulle materie prime e soprattutt­o sui metalli industrial­i, mol- to influenzat­i dal paese asiatico.

Anche per M&G Investment­s le prospettiv­e relative ad un apprezzame­nto del dollaro non verranno ben accolte dai governi delle economie dei mercati emergenti. Per questo motivo, la selettivit­à sarà di fondamenta­le importanza al fine di garantire protezione contro le potenziali perdite. «Per esempio - spiegano - i mercati dell’Europa dell’Est, come Repubblica Ceca, Ungheria e Romania, dipendono molto di più dall’Europa rispetto agli Stati Uniti per l’export».

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