Direttiva sui diritti degli azionisti: raggiunto l’accordo in Eu ropa
Le politiche di remu nerazione alla prova del passaggio assembleare
ti e governance (temi strettamente intrecciati) molto ricco. Ad alcune di queste importanti novità in arrivo in sede comunitaria sono dedicate le schede riportate qui in basso.
Un tempo le società per azioni erano chiamate società anonime (che resta come parte del nome di Assonime). Con la direttiva sui diritti degli azionisti le società saranno meno “anonime” perché potranno identificare coloro che detengono le proprie azioni. Gli stati potranno definire una soglia, ma non dovrà superare lo 0,5%. La misura è volta a creare un rapporto più diretto con chi possiede quote della società e canali di comunicazione più efficaci.
Un’altra questione riguarda il voto in assemblea sulle politiche di remunerazione (si veda anche l’articolo a pagina 9). La regola che fissa la direttiva è che il voto dell’assemblea sia vincolante, ma che i singoli stati membri poi abbiano la possibilità di rendere meno “pesante” questo voto, rendendolo consultivo, ma anche in quel caso se il voto è contrario, alla successiva assemblea occorrerà presentare una diversa politica sulle remunerazioni. La soluzione italiana al momento è che il voto sia obbligatorio, ma non vincolante. E in fase di recepimento magari questa scelta potrebbe essere mantenuta. In Europa però la via più stetta sembra la scelta imboccata anche da paesi tra- dizionalmente liberisti e anche da amministrazioni di segno conservatore. Come ricordava alla recente Italy Corporate Governance Conference 2016 (si veda Il Sole 24 Ore del 2 dicembre scorso) Guido Ferrarini, dell’Università di Genova, nel Regno Unito: « Teresa May ha annunciato una stretta molto decisa, con un voto vincolante degli azionisti sulle politiche di remunerazione. Anche se poi con un successivo green paper sembra aver attutito la presa di posizione iniziale». In Francia, con quella che è stata vista come una soluzione “mediana” è stato introdotto un voto vincolante sulla parte variabile della remunerazione. Si tratta di una questione che da molti anni vede un dibattito aperto. Solo nel 2013 in Svizzera fu bocciato il referendum che voleva introdurre una regola molto severa per la remunerazione dei manager. In pratica non si sarebbe potuto superare il rapporto 1 a 12 tra la remunerazione più bassa e quella più alta all’interno di un’azienda.
Un altro passaggio importante della direttiva riguarda i rapporti con le parti correlate. Un aspetto che può sembrare più “remota” rispetto agli interessi di chi investe, ma in realtà di grande importanza, perché è quell’area in cui si possono nascondere conflitti di interessi e operazioni poco trasparenti. La direttiva lascia in realtà molti spazi agli stati membri. In ogni caso l e società dovranno sempre annunciare le “material transaction” (che però saranno definite autonomamente dai singoli stati) con le parti correlate e potrà essere loro chiesto anche di presentare una relazione sulla correttezza dei comportamenti su questi aspetti.
Sin dalla sua esperienza in Consob, Marcello Bianchi, ora vice direttore generale di Assonime, ha seguito da vicino l’elaborazione della direttiva. «La nuove direttiva - commenta Bianchi - lascia opportunamente agli stati membri adeguati margini di flessibilità nell’attuazione dei nuovi principi. Su questi temi la disciplina italiana, per molti versi già allineata con le nuove disposizioni europee, si è dimostrata efficace nel fronteggiare i rischi di conflitti di interesse, con una bilanciata ripartizione di responsabilità tra società e azionisti». E per questo sottolinea l’esigenza che «Il legislatore italiano nel recepire la nuova direttiva europea mantenga l’impianto attuale, confermando il voto non vincolante sulle politiche di remunerazione e il ruolo centrale degli amministratori indipendenti nelle operazioni con parti correlate, al fine di salvaguardare i buoni risultati raggiunti, riconosciuti dai principali organismi internazionali».