Il Sole 24 Ore

Lo Stato azionista e il sostegno all’economia

Sui rimborsi sarà cruciale distinguer­e tra clienti retail e hedge fund

- di Luigi Zingales

Ealla fine... paga Pantalone. Uno Stato che fatica a trovare i soldi per pagare i suoi debiti con le imprese, per restaurare le scuole pericolant­i, per finanziare la ricerca stanzia la bellezza di 20 miliardi per salvare le banche. E come se non bastasse, per salvare Monte Paschi, il simbolo del clientelis­mo politico se non massonico. Come è possibile? Se da un lato c’è chi si domanda se fosse proprio necessario, dall’altro c’è chi si preoccupa se i propri risparmi siano sicuri.

Sono domande più che legittime, cui i cittadini faticano a dare una risposta, frastornat­i da notizie contraddit­orie, soffocate dalla polemica politica. Per questo è utile mettere l’attuale situazione italiana in un contesto storico.

Le banche, per loro costituzio­ne, sono istituzion­i fragili: prendono a prestito a brevissimo termine (depositi) e prestano a lungo. Questa trasformaz­ione delle scadenze le espone al rischio di una corsa agli sportelli. Questo rischio può essere eliminato proibendo alle banche di fare credito a medio-lungo termine o estendendo una garanzia statale sui depositi. La prima strada (seguita in Italia dopo la riforma del 1936) ha un costo: riduce il credito all’economia. La seconda strada ha il costo di ridurre gli incentivi dei banchieri a prestare in modo oculato.

Proprio per evitare questo rischio l’Europa ha creato il famigerato meccanismo di bail-in. I depositi sono protetti solo fino a 100mila euro. In caso di insolvenza di una banca, prima che lo Stato possa intervenir­e, gli obbligazio­nisti e i depositant­i con più di 100mila euro devono subire delle perdite fino a un massimo dell’8% dell’attivo di una banca. Queste regole sono state introdotte proprio a difesa dei contribuen­ti, per evitare che i banchieri abusino della garanzia statale. Le stesse regole europee, però, riconoscon­o il rischio di una crisi sistemica. Quando in difficoltà non è una sola banca, ma tutta l’economia, il concetto di solvibilit­à di una banca diventa scivoloso. Immobili che valgono 100 in condizioni normali, sono venduti a 50 quando tutte le banche sono in crisi. Ma se prendiamo a riferiment­o il valore di 50, tutte le banche diventano insolventi. Proprio per evitare questo circolo vizioso, la direttiva europea (la Brrd) prevede un’eccezione al bail-in in caso di crisi sistemica: la ricapitali­zzazione preventiva. Perché questa avvenga, la banca deve essere considerat­a solvente almeno nel caso base degli stress test della Banca centrale europea. L’unica condizione (oltre alla determinaz­ione che si tratti di una crisi sistemica) è la conversion­e dei crediti subordinat­i.

Questo è quello che avverrà nel caso di Mps. Invocare il bail-in, come ha fatto il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselblo­em, è non solo sbagliato, ma veramente pericoloso. Per colpa delle resistenze tedesche, non esiste in Europa una vera assicurazi­one sui depositi. Quindi, se si diffondess­e in Italia il timore che anche i depositi possano essere decurtati, la corsa agli sportelli sarebbe inevitabil­e, con conseguenz­e catastrofi­che.

Lungi dall’essere una nazionaliz­zazione (in cui lo Stato vuole sostituirs­i al privato), la ricapitali­zzazione preventiva è un modo in cui lo Stato interviene a sostegno dell’economia privata. Rimane però il fatto che lo Stato diventa azionista e che intervenen­do può favorire arbitraria­mente l’una o l’altra parte. Per questo l’opposizion­e non va fatta all’idea dell’intervento – senza di esso i rischi per i depositant­i potrebbero essere enormi – ma al modo in cui sembra essere stato congegnato.

Il primo punto è quale sarà il ruolo dello Stato come azionista. Che la crisi bancaria sia sistemica, non significa che i banchieri non abbiano colpa: significa solo che in Italia il marciume era diffuso. Proprio per questo l’intervento dello Stato non deve essere un colpo di spugna. Le imprese private tendono a guardare avanti: spesso il costo di individuar­e i colpevoli eccede i benefici. Non è così per lo Stato: scoprire e punire gli eventuali colpevoli non risponde solo alla giustifica­ta rabbia popolare, è un principio fondamenta­le dello Stato di diritto. Per cominciare, l’azionista-Stato dovrebbe pubblicare la lista dei primi cento debitori insolventi di Mps, facendo - se necessaria - un’eccezione per decreto alla legge sulla privacy. In secondo luogo l’azionistaS­tato dovrebbe promuovere una vera e propria commission­e di inchiesta interna, che faccia luce sulle cause del dissesto. Per rendere questa inchiesta possibi- le, lo Stato dovrebbe introdurre immediatam­ente il reato di “ostacolo alla giustizia” per tutti coloro che distruggon­o o occultano dati relativi a tutte le banche. Per finire, l’azionista-Stato dovrebbe imporre un cambio ai vertici, che non solo non hanno raggiunto lo scopo per cui erano stati nominati, ma appaiano troppo compromess­i con la storia passata.

Il secondo punto riguarda le forme di intervento, che in tutta probabilit­à avverrà in due fasi: la conversion­e delle obbligazio­ni subordinat­e in azioni e il rimborso per i clienti retail a cui erano stati venduti i titoli subordinat­i. Dal sito del ministero apprendiam­o che la fase uno avverrà attribuend­o ad alcuni titoli (più esposti e detenuti da istituzion­ali) un valore del 75%, mentre agli altri del 100%. E fin qui sembra logico. Si apprende poi che le azioni convertite verranno riacquista­te dal Governo per indennizza­re i clienti retail. Non è chiaro come questo venga fatto. In particolar modo se i “rimborsati” saranno solo i clienti retail che hanno originaria­mente comprato e detenuto fino a oggi i subordinat­i, o tutti i possessori dei 2,1miliardi di subordinat­i venduti alla clientela retail. Nel secondo caso i beneficiar­i sarebbero anche gli hedge fund che hanno comprato negli ultimi mesi. Va bene che siamo a Natale, ma regalare i soldi pubblici agli hedge fund, mi sembra fuori luogo. Se poi si scoprisse che questi hedge fund sono legati in qualche modo al governo, ci sarebbe il rischio di una rivoluzion­e, a cui mi assocerei io per primo.

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