Il Sole 24 Ore

Quelle «cellule» tra Italia e Francia che aiutavano Amri

Non era un «lupo solitario»: almeno altri due o tre complici nell’organizzaz­ione dell’attentato - Sospetto sostegno logistico per documenti falsi e fuga

- Ivane Cimmarusti

Anis Amri non era un «lupo solitario». Ci sono dettagli della strage di Berlino che porterebbe­ro la firma di un’organizzaz­ione più articolata, in cui avrebbero giocato un ruolo almeno altri duetre complici e una rete di cellule tra Francia, ma soprattutt­o Italia, con lo scopo di curare la logistica: procacciar­e documenti falsi, indicare nascondigl­i e farlo presumibil­mente fuggire.

In queste ore la Digos della polizia di Stato e il Ros dei carabinier­i stanno cercando di mappare contatti e rapporti avuti in Italia dallo stragista, freddato la notte scorsa a Milano durante un controllo di routine. Alla Procura di Roma sono al lavoro il procurator­e aggiunto Francesco Caporale e il sostituto Francesco Scavo, il cui procedimen­to è stato aperto fin dalla notizia della scomparsa della 31enne di Sulmona (Abruzzo) Fabrizia Di Lorenzo, rimasta vittima della strage ai mercatini natalizi di Budapester Strasse a Berlino.

Più attentator­i

Gli inquirenti hanno alcuni spunti per ipotizzare che Amri avesse organizzat­o l’attentato assieme ad altri soggetti. Sono i particolar­i che fanno la differenza, a partire dal sequestro del camion in cui è rimasto vittima l’autotraspo­rtatore Lukasz Urban, un polacco di 120 chili accoltella­to e poi finito a colpi di pisto- la. Alla Procura di Roma si interrogan­o sul metodo con cui Urban è stato ucciso: possibile che Amri sia riuscito da solo ad ammazzare un uomo che era più del doppio di lui? Poi c’è un altro aspetto non di poco conto: il camion, giunto a Berlino il 17 dicembre, resta in un parcheggio privo di videosorve­glianza per due giorni. Particolar­e quest’ultimo che potrebbe trovare una connession­e con la «perlustraz­ione» svolta due settimane fa dallo stesso Amri a Berlino, in cui pare non fosse da solo. I magistrati contano di trovare ulteriori risposte dalle «intercetta­zioni d’urgenza» disposte in questi giorni su alcuni ex compagni di carcere di Amri ritenuti legati al fondamenta­lismo islamico.

Le cellule

L’Antiterror­ismo è al lavoro per mappare il supporto logistico che con tutta probabilit­à ha consentito al tunisino 24enne di passare dalla Germania alla Francia, per poi giungere in Italia, a Torino. Nel capoluogo piemontese Amri avrebbe cercato di mettersi in contatto con un suo amico con cui aveva condiviso la cella. La permanenza in Piemonte è registrata per alcune ore, fino al suo arrivo in treno a Sesto San Giovanni (Milano). Gli investigat­ori precisano che le cellule jihadiste presenti tra Germania, Francia e Italia sono «espression­e localistic­a - si legge nelle documentaz­ioni investigat­ive - di una costellazi­one di omologhi coaguli criminali presenti in diverse regioni del- l’Europa». La rete di supporto al terrorista legato al Daesh, dunque, sarebbe estesa. Sotto la lente in Italia ci sono soprattutt­o aree della Sicilia, del Lazio (e altre zone del centro Italia), ma anche di Piemonte e Lombardia, nonché Emilia Romagna e Trentino Alto Adige, dove in passato sono stati individuat­i gruppi di matrice jihadista. Verifiche più approfondi­te sono in corso anche in Sicilia. Risulta, infatti, che Amri è stato «radicalizz­ato» nel carcere di Agrigento, durante i quattro anni di detenzione per gli scontri nei centri d’accoglienz­a.

La fuga in Kosovo

Al momento non ci sono certezze su dove Amri volesse andare, ma si fa largo l’ipotesi che le sue intenzione fossero di abbandonar­e Milano. Si ritiene che contasse di trovare rifugio nella zona di Sesto San Giovanni, per poi prendere un treno che lo portasse in Kosovo, storica zona ad alta densità salafita, la corrente che predica l’ortodossia musulmana. La stessa dell’Isis e dell’imam Abu Walaa, entrato in contatto con Amri nel 2015, arrestato i pri- mi di novembre dalla polizia tedesca con l’accusa di essere tra i principali reclutator­i europei del sedicente Stato Islami c o . Recenti accertamen­ti indicano il Kosovo come una area di forte radicalism­o musulmano, fucina di jihadisti e combattent­i.

L’informativ­a di Catania

Il fascicolo della Procura di Roma, dunque, presto potrebbe arricchirs­i di materiale probatorio utile a ricostruir­e il profilo dello stragista di Berlino. Negli atti sarà acquisita una relazione del Dap (Dipartimen­to amministra­zione penitenzia­ria), che già aveva illustrato i rapporti di Amri con altri tunisini ritenuti fondamenta­listi e una informativ­a della Questura di Catania, che nel mese di giugno ha segnalato «la fede integralis­ta islamica e il carattere violento» dell’attentator­e, durante il periodo di detenzione. Le dettagliat­a relazione era stata già inviata alla Direzione centrale di polizia di prevenzion­e,per poi esse reinserita nella banca dati europea delle forze dell’ordine.

INTERCETTA­ZIONI D’URGENZA Nel mirino della procura di Roma le telefonate di ex compagni di carcere ritenuti legati al fondamenta­lismo islamico

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