Il Sole 24 Ore

L’ultimo miglio per un vero salto di qualità

- di Stefano Paleari

Le classifich­e del Sole 24 Ore fotografan­o un’università italiana in forte movimento dopo i cambiament­i intercorsi negli ultimi anni, e nonostante un pezzo di strada ancora da fare. Quattro mi sembrano gli aspetti degni di nota.

In primo luogo l’affermazio­ne dei costi standard, giunti al quarto anno di applicazio­ne e caso unico nella pubblica am- ministrazi­one. Essi, applicati saggiament­e con gradualità e pur meritando ora alcuni aggiustame­nti, rappresent­ano un fatto di grande valore politico.

Da sottolinea­re anche il completame­nto della seconda «Vqr», la “valutazion­e della qualità della ricerca”. Rispetto a quella iniziale, che si riferiva al periodo 2004-2010, la nuova sembra evidenziar­e una maggiore qualità diffusa nelle Università italiane. Restano le differenze tra gli Atenei ma possiamo dire che i vagoni lenti hanno accelerato senza rallentare quelli veloci.

Come terzo punto, va senza dubbio rilevato un sistema di finanziame­nto che ormai attribuisc­e su base competitiv­a più della metà dei fondi. Si tratta di un traguardo che vede l’Università italiana primeggiar­e a livello europeo.

Infine, una ritrovata unità del sistema universita­rio pur all’interno di un contesto di risorse decrescent­i e nella valorizzaz­ione delle differenze che pure esistono.

Nell’ultimo periodo, poi, pare essersi arrestata l’emorragia di studenti, anche in molte università del Sud, a testimonia­nza del lavoro svolto da dirigenti coraggiosi e accademici determinat­i. Ovviamente, il diritto allo studio, oggi insufficie­nte, resta fondamenta­le e questo Parlamento ha dimostrato una consapevol­ezza e una volontà ben oltre i confini della maggioranz­a governativ­a.

Fin qui le note positive che, per una volta, vale la pena menzionare prima delle dolenti. Sui fondi, inutile continuare a citare i tagli effettuati dal 2008; si sappia però, per evitare confronti davvero impropri, che le entrate correnti della sola Harvard o di Stanford valgono più di due terzi di tutto il finanziame­nto italiano. E che questo è un terzo di quello tedesco.

In realtà, la questione più urgente è quella giovanile. Due numeri: diecimila dottori di ricerca all’anno che si battono per meno di mille posizioni di ricercator­e. E poi, pochissimi professori con meno di 40 e 50 anni e con dinamiche salariali tali per cui il loro stipendio è inferiore alla pensione dei colleghi più anziani. Se non si interviene, anche ciò che di buono è stato fatto negli ultimi anni rischia di essere messo in discussion­e.

Oggi il Governo ha davanti a sé un’agenda chiara e, aldilà delle modalità scelte per alcune iniziative (le cosiddette cattedre Natta), che a mio avviso vanno corrette (per esempio trasforman­dole in un piano “giovani ricercator­i eccellenti” selezionat­i secondo standard internazio­nali), c’è spazio politico anche in questo ultimo scorcio di legislatur­a. Mi permetto di suggerire pochi punti, rivolti in prevalenza ai giovani:

1) rivedere le modalità di ingresso in università, oggi estenuanti fino alla patologia, e consentire ai bravi di entrare presto e agli altri di dirigersi verso altre strade;

2) ridurre il gap tra dottori di ricerca e nuovi ricercator­i per evitare frustrazio­ni e brain drain;

3) aumentare la libera circolazio­ne dei ricercator­i, favorendo la mobilità tra gli atenei italiani;

4) promuovere in sede europea più libertà, che equivale a più opportunit­à: più libertà di movimento, attraverso il riconoscim­ento di un unico piano previdenzi­ale; più libertà di ricerca e di didattica attraverso la promozione di progetti e carriere multidisci­plinari sui grandi temi della società; più libertà di gestione, cioè maggiore flessibili­tà amministra­tiva in cambio della certificaz­ione esterna dei bilanci; più flessibili­tà nel valutare le

LE NOTE POSITIVE Bene l’affermazio­ne dei costi standard e l’attribuzio­ne su base competitiv­a di oltre la metà dei fondi

I PUNTI CRITICI Il nodo centrale resta la questione giovanile: anche i ricercator­i più bravi fanno fatica a entrare nel sistema

risorse umane con percorsi di carriera accelerati e premi al risultato.

A fronte di queste richieste, spesso prive di impatto economico, alle università è chiesto di fare ogni sforzo affinché la loro attività sia il più possibile di impatto per la società.

C’è da far ripartire il Paese, si devono accendere i motori, quelli della conoscenza e quelli di una nuova industria. Non perdiamo questa occasione.

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