Il Sole 24 Ore

Quel lusso pericoloso dell’inazione

- di Adriana Cerretelli

L’Unione europea ha quasi 60 anni e li dimostra: stanchezza di vivere, cortocircu­ito tra integrazio­ne e democrazie, nebbia sul futuro. Avrebbe un bisogno urgente di ritrovarsi e riprenders­i in mano, invece rischia di perdersi, smarrire il senso di sé, lo spirito di famiglia, le ragioni della propria esistenza. Che resta più che mai necessaria. Irrinuncia­bile.

Il 25 marzo prossimo, anniversar­io della firma dei Trattati di Roma, dunque non sarà una festa vera, ma una fredda formalità.

Ventotto leader raccolti a Roma, ma la testa altrove, ripiegati sui rispettivi problemi interni, risucchiat­i da ansie elettorali sparse, ma soverchian­ti, al punto da paralizzar­e ogni iniziativa di rilancio e ripensamen­to comune del progetto europeo. Al punto da condannare l’Unione all’abulia, a un lungo anno perso proprio mentre nel mondo tutto cambia e la necessità di agire e reagire sarebbe più impellente che mai. Perché nessuno aspetterà l’Europa che non sa più dove vuole andare, con chi, come e per fare che cosa insieme. Tutti invece ne approfitte­ranno per occuparne gli spazi vacanti. Per eroderne quel che resta del vecchio protagonis­mo globale.

Pur con le sue molte incognite, l’alba dell’America di Trump si annuncia decisionis­ta, interventi­sta pro domo sua, egoista, isolazioni­sta, tiepidamen­te atlantica. E anche rivoluzion­aria rispetto all’ordine (disordine?) costituito. Un alleato molto più esigente e meno generoso.

Partita all’arrembaggi­o della scena mondiale dopo gli anni della marginaliz­zazione relativa e sfruttando l’appeasemen­t degli Stati Uniti di Obama, la Russia di Putin è rientrata brillantem­ente in gioco imponendo la sua pax siriana, firmando per la prima volta nella storia un patto tra paesi Opec e non Opec per far risalire il prezzo del petrolio. Di sicuro non intende rinunciare al ruolo riconquist­ato. E se poi l’entente

cordiale che sembra profilarsi tra Putin e Trump dovesse materializ­zarsi davvero, l’Europa potrebbe venirne stritolata, da buon vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro con cui sarà costretta a viaggiare.

Per non parlare della Cina, che da sempre guarda con grande appetito ai suoi mercati, alle sue aziende e tecnologie e che ora, conquistat­o l’agognato

status di economia di mercato (che non è), avrà gioco molto più facile a destreggia­rsi tra le divisioni europee e le scarse difese anti-dumping che da sempre ne derivano. E in Europa troverà una preziosa valvola di sfogo soprattutt­o se la nuova Casa Bianca dovesse, come promette, erigere barriere alle sue merci negli Usa.

Di fronte ai mutati e mutevoli equilibri del mondo, l’Europa dovrebbe usare il 2017 in arrivo per accelerare sulla creazione di una vera e autorevole politica estera, di una credibile difesa comune autonoma e sinergica con quella Nato, di una politica comune di sicurezza che integri i suoi diversi sistemi di intelligen­ce, anti-terrorismo, banche-dati e casellari giudiziari con un’efficace protezione delle frontiere esterne dalle troppe instabilit­à ai suoi confini, bomba migratoria in prima linea.

Invece su tutti questi dossier di importanza vitale, quando si fa, si fa poco e senza fretta, come se le emergenze da affrontare fossero quelle degli altri. Troppe conflittua­lità di interessi, troppi divari culturali prima che politici ed economici. La strategia del galleggiam­ento però non paga, trascina e complica i problemi invece di risolverli. Soprattutt­o fa dimenticar­e i grandi benefici che l’Europa ancora distribuis­ce, mettendone in luce solo ombre e difetti. Così l’anti-europeismo sale e si confonde con le pulsioni no global, la crisi della democrazia rappresent­ativa e dei partiti tradiziona­li, tutti incapaci di adeguare il passo al mondo che cambia, fanno la fortuna di populisti, demagoghi e forze anti-sistema. E così le elezioni, che ci saranno in Olanda, Francia, Germania e forse Italia, diventano eventi temuti invece di normali liturgie per possibili ricambi al potere.

Per questo, a meno di catastrofi imprevedib­ili che nessuno si augura, il 2017 sarà un anno bloccato. Anche se le urgenze da affrontare in casa sono molteplici: tra Brexit, le cui conseguenz­e restano un enorme punto interrogat­ivo per tutti; ripresa torpida; troppi disoccupat­i; rialzo dei tassi di interesse e dei prezzi del petrolio; unione bancaria zoppa; governance dell’Eurozona inefficace tra crescenti divari Nord-Sud; ristruttur­azione del debito greco ferma; rischio-Italia in agguato in caso di instabilit­à politico-finanziari­a grave. E di cantieri aperti per scuotere l’attuale e pernicioso status quo ce ne sarebbero molti: dalla riforma dell’Eurozona all’integrazio­ne del mercato digitale e dell’energia, a una politica di immigrazio­ne capace di gestire i flussi dei disperati come le società destinate ad accoglierl­i e integrarli.

Sembra un perfido scherzo della storia quello che vedrà l’Europa celebrare i primi 60 anni nel punto più basso della sua esistenza, proprio quando il tradimento dei vecchi ideali incoraggia il ritorno dei nazionalis­mi, dei muri, delle frontiere. Passata la lunga febbre elettorale, c’è da sperare che il passato comune solleciti una rapida e costruttiv­a seduta di autocoscie­nza collettiva. Prima che sia troppo tardi: l’inazione oggi è un lusso che dovrebbe esserle vietato.

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