Il Sole 24 Ore

Ogni «big» ha i suoi punti deboli da curare

- C. Bu.

Non c’è solo il debito pubblico fuori rotta, il secondo più alto nella Ue dopo la Grecia. Sono cinque le fragilità dell’economia italiana, tante quante l’ex virtuosa Olanda, che il nuovo governo dovrà cercare di superare.

Lo rivela l’ultimo «Mip Scoreboard», il tabellone annuale di Eurostat, l’uffico di statitisti­ca Ue, che misura gli squilibri macroecono­mici dei Ventotto sulla base di 14 indicatori che spaziano dalla finanza pubblica all’esposizion­e con l’estero fino al mercato immobiliar­e. Tra i big nessuno è perfetto, nemmeno la Germania, che però mantiene la prima posizione con appena due punti deboli. Seguono Francia e Spagna con quattro note dolenti.

Oltre al debito pubblico, l’altro grande tallone d’Achille dell’economia italiana è un’eredità pesante della crisi e si chiama disoccupaz­ione, dove ben tre indicatori superano i parametri utilizzati da Bruxelles: il tasso medio dei senza lavoro degli ultimi tre anni (12,2%); la disoccupaz­ione di lunga durata e quella giovanile. La nota trimestral­e congiunta di ministero del Lavoro, Istat, Inps e Inail diffusa la settimana scorsa ha confermato che l’Italia non è un Paese per giovani: in un anno i dipendenti sono cresciuti di 543mila unità, ma solo grazie agli ultracinqu­antenni.

Negli ultimi cinque anni, inoltre, la quota di export italiana sul totale delle esportazio­ni mondiali è calata dell’8,9%, oltre la soglia del 6% fissata dalla Ue.

È quasi la metà di quello italiano, ma anche il debito pubblico tedesco non rispetta il parametro inflessibi­le del 60% del Pil fissato dal Trattato di Maastricht. Un obiettivo che Berlino nel budget 2017 si prefigge di raggiunger­e entro il 2020, puntando su quota 65% per il prossimo anno. La più grande “colpa” tedesca, che ha già conosciuto gli onori della cronaca, resta l’alto surplus delle partite correnti nella media a tre anni, che supera la soglia del 6% ritenuta accettabil­e da Bruxelles. Berlino è in questa situazione dal 2007 e in questo modo guadagna competitiv­ità ai danni degli altri Paesi. La prima verifica europea è partita nel 2013, ma da allora il livello anziché diminuire è aumentato e si situa oggi al 7,5% del Pil. In sostanza la Germania perde quote di export a livello mondiale, ma le guadagna sul resto d’Europa.

Peggio fa l’Olanda con uno squilibrio del 9,1% e una quota di export a livello mondiale in calo dell’8,3 per cento. L’Aja, Parigi e Madrid hanno, poi, in comune tre debolezze: il mix tra debito pubblico e privato e la disoccupaz­ione. Anche se per due indicatori sul mercato del lavoro (il tasso di disoccupaz­ione e la quota dei senza lavoro di lunga durata) la Francia si distanzia solo di un soffio

CINQUE INSUFFICIE­NZE Per l’Italia non c’è solo il debito pubblico fuori rotta: gli altri talloni d’Achille riguardano il calo dell’export e tre tassi di disoccupaz­ione

dalla soglia fissata dalla Ue. Madrid presenta, inoltre, un’esposizion­e significat­iva con l’estero.

Se invece si allarga il focus a tutti i 28, la maglia nera va a Cipro, con nove note dolenti. Peggio della Grecia, che ne ha cinque. L’unica che non presenta squilibri, secondo i parametri considerat­i, è la Repubblica ceca.

A livello generale, però, la situazione è in migliorame­nto, ma l’aggiustame­nto appare lento: nell’intera Ue si contano oggi 100 squilibri macroecono­mici rispetto ai 116 del 2015. La prossima tappa verrà segnata a marzo, quando la Commission­e Ue, insieme alla pagella sulle manovre in sospeso (come quella italiana), valuterà i progressi compiuti rispetto alle sue raccomanda­zioni, di cui i governi dovranno tenere conto nei Programmi nazionali di riforma.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy