Usa, aperta inchiesta su Fbi per la gestione del mailgate
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A pochi giorni da un avvicendamento alla Casa Bianca, l’ispettore generale del dipartimento per la Giustizia ha annunciato che si investigherà sulle motivazioni che hanno portato il capo dell’Fbi James Comey a rendere pubblica una nuova inchiesta sulle email di Hillary Clinton appena una settimana prima delle elezioni. Secondo i democratici, quelle rivelazioni sui nuovi accertamenti sono state determinanti per convincere gli elettori incerti a votare per Donald Trump l’8 novembre.
Uno dei fatti accertare è che non ci siano state motivazioni o spinte politiche per procedere con un intervento giudicato a “gamba tesa” nel durissimo confronto elettorale americano. Anche perché una notifica formale del direttore dell’Fbi non era né dovuta né obbligatoria e anzi contraria alle indicazioni che impediscono all’Fbi di fare annunci che potrebbero turbare il clima elettorale in prossimità delle elezioni. Per questo l’inchiesta era attesa. E non c’è dubbio che continuerà anche quando fra una decina di giorni al dipartimento si insedierà il repubblicano Jeff Session. L’ufficio dell’ispettore generale infatti dovrebbe essere indipendente e una volta avviata l’inchiesta seguirà il suo corso fino alla fine.
Mancavano undici giorni alle elezioni americane, Hillary Clinton sembrava essere in comodo vantaggio anche se il gap a suo favore si stava progressivamente riducendo, quando ci fu l’ennesimo fulmine a ciel sereno: l’Fbi, storicamente la più autorevole fra le agenzie federali responsabile per la sicurezza interna, annunciò di aver avviato un’inchiesta su nuove email di Hillary Clinton scoperte nel server di Anthony Weiner marito separato di Huma Abedin, forse la persona più vicina a Hillary Clinton. L’Fbi aveva avviato un’inchiesta separata su Weiner, ex deputato ed ex candidato per la poltrona di sindaco di New York, accusato di aver corrotto sessualmente minorenni inviando fotografie pornografiche e incoraggiando incontri che avrebbero dovuto essere a sfondo sessuale.
Durante l’inchiesta su Weiner gli agenti dell’Fbi hanno scoperto sul suo computer altre 600mila email che sembrava potessero essere compromettenti in quanto includevano email della moglie Abedin e della Clinton. Il 5 luglio precedente Comey aveva annunciato che lo scandalo emailgate su Hillary (aveva usato un server privato per gestire la sua posta elettronica invece di un server del dipartimento di Stato) si sarebbe chiuso con un nulla di fatto: non c’erano elementi per provare la volontà di violare la legge da parte della Clinton e dunque il caso veniva archiviato. Comey tuttavia si impegnò con senatori critici della sua decisione di avvertirli immediatamente nel caso ci fossero stati altri sviluppi. Quindi scrisse la lettera rivelatrice che creò una bufera politica a pochi giorni dalle elezioni. Non solo: a due giorni dal voto fece un altro comunicato annunciando che non non erano state rilevate nuove irregolarità. Trump disse che l’annuncio venne sotto pressione dei «poteri forti» a Washington. Altri dicono che furono agenti dell’Fbi su pressioni di personaggi influenti come Rudy Giuliani a insistere con Comey perché facesse il suo annuncio.
L’inchiesta dovrebbe spiegarci cosa è successo davvero. Non cambierà l’esito elettorale ovviamente, ma potrebbe generare un paradosso: se dovesse concludere che Comey ha quanto meno violato certe procedure interne, Donald Trump, favorito dall’azione di Comey (un repubblicano, ma indipendente) potrebbe usare il risultato per chiedere al direttore di andarsene e sostituirlo con qualcuno di suo gradimento.
Sono proseguite intanto a Washington le audizioni al Senato dei candidati a entrare nell’amministrazione Trump: ieri è stato il turno di James Mattis, il generale nominato come prossimo ministro della Difesa, e Mike Pompeo, scelto per guidare la Cia. Entrambi, diversamente dal candidato segretario di Stato Rex Tillerson che mercoledì aveva espresso un tono più conciliante nei confronti di Mosca, hanno parlato della Russia come di una minaccia.