Il Sole 24 Ore

«L’Europa è sfuocata sui rischi per le banche»

La vigilanza si concentra sui rischi del credito (Npl) ma ignora quelli di mercato (derivati)

- Di Alessandro Merli

Romano Prodi (nella foto) si dichiara “realista” sulle prospettiv­e del 2017, in cui l’Europa continuerà ad arretrare progressiv­amente, in un «continuo ondeggiame­nto», ma senza le temute rotture postBrexit. Anche se «i Governi inseguono i populismi, invece di presentare un’alternativ­a». Ma la lentezza decisional­e dell’Europa rischia di provocare danni gravi in un quadro, destabiliz­zato dall’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, divenuto i mprevedibi­le. In un’intervista al Sole 24 Ore dalla sua casa di Bologna, dove promette di dedicarsi nei prossimi mesi a seguire attentamen­te quello che avviene oltre Oceano, invita ad aspettare qualche tempo prima di giudicare le politiche della nuova amministra- zione Usa, ma lo preoccupa la possibile affermazio­ne a Washington di una linea protezioni­sta che colpirebbe anche l’Europa. Sui ritardi dell’Italia, ricorda che gli interventi da fare sono noti, anzi tutto sulla produttivi­tà, «un problema i mpressiona­nte», in particolar­e nei servizi, sulla ricerca per l’industria 4.0 e sull’istruzione tecnica, ma devono uscire dalla carta. E sull’incognita dello stato di salute delle banche, afferma che l’Italia paga le conseguenz­e di una vigilanza europea che «si concentra sul rischio di credito, ma ignora quello di mercato», ma anche dei propri ritardi, come quello «incomprens­ibile» a intervenir­e nella crisi del Monte dei Paschi.

Pro fessor Prodi, il 2017, secondo molti commentato­ri, può essere un anno decisivo per l’Europa, dopo Brexit e con lìascesa di movimenti populisti ed euroscetti­ci in diversi Paesi.

Da un decennio si parla di anno decisivo. Mi sembra invece che si arretri pian piano, senza decidere nulla. Vedo piuttosto un continuo ondeggiame­nto, un proseguime­nto del 2016, che, visto come è andato l’anno scorso, non mi può rendere felice.

Ma nel 2017 ci saranno elezioni importanti in Francia e in Germania e l’avvio del negoziato sulla Brexit.

Certo, le elezioni francesi e tedesche saranno importanti­ssime ma, dopo il voto, entrambi i Paesi usciranno con una situazione non molto diversa da quella odierna. Non credo invece ci saranno elezioni in Italia. E non vedo elementi di rottura del sistema, che aggravino lo strappo della Brexit. La Gran Bretagna resta un caso a sé: gli inglesi sono sempre stati incerti da che parte dell’Atlantico stare. Ora vedremo che cosa proporrà Trump, sirena e provocator­e insieme. La lentezza decisional­e europea invece si vede già bene: il negoziato vero inizierà ad aprile e non se ne conoscono ancora né i ritmi né i modi. La verità è che i danni di questa lentezza decisional­e dell’Europa potevano essere limitati in un quadro mondiale prevedibil­e, ma questo è oggi complicato da grandi cambiament­i nel mondo e allora questa incapacità di prendere le decisioni importanti può provocare danni gravi.

Si riferisce all’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.

La tempesta Trump è solo cominciata e come tutte le tempeste resta imprevedib­ile: le sue posizioni cambiano continuame­nte su tutti i temi. E non ha mai mostrato alcun interesse per l’Europa, non ne ha mai parlato. Anche Barack Obama, salvo che nelle ultime settimane, si è mostrato abbastanza indifferen­te all’Europa, ma il quadro di riferiment­o era stabile. Ora invece tutti i pilastri dei rapporti transatlan­tici vengono messi in discussion­e, pensiamo alla Nato.

L’economia dell’area dell’euro però è in ripresa, anche se, secondo il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, i rischi maggiori vengono proprio dalla politica.

Le ultime analisi parlano di una crescita dell’1,5%, che non è malissimo, un po’ meglio delle previsioni precedenti grazie al buon andamento di fine 2016. Direi che le incognite sono appunto l’incertezza politica e il commercio mondiale. Questo, per la prima volta da molto tempo a questa parte, cresce meno dell’economia globale. In questa situazione, si inserisce l’arrivo di Trump che dichiara di voler applicare dazi alla Cina e ad altri Paesi. Ma la Cina fa parte della Wto, le ripercussi­oni sarebbero globali. Anche l’Europa può esserne danneggiat­a. La nomina come responsabi­le del commercio estero americano di una persona che in passato ha sostenuto posizioni protezioni­ste preoccupa. Ma nonostante le dichiarazi­oni recenti, ci vorranno probabilme­nte ancora alcuni mesi prima di capire la linea della nuova amministra­zione Usa in materia di commercio. Anche questo fa parte dell’incer- tezza di cui parla Draghi.

In questo scenario, l’Italia resta indietro in termini di crescita. Il Sole 24 Ore sta realizzand­o in questi giorni un’inchiesta sui ritardi del nostro Paese. Ed è arrivato anche un nuovo declassame­nto del rating.

Nel 2017 l’Italia può avvicinars­i all'1% ma è saldamente all’ultimo posto fra le grandi economie. Quanto alle società di rating, sostengo da anni la superficia­lità delle loro analisi. Le loro decisioni hanno conseguenz­e non enormi, ma certamente negative, soprattutt­o in termini di immagine.

Da dove passa il rilancio della crescita?

Gli interventi da fare sono noti. Il problema della produttivi­tà è impression­ante. Tutto quello che si è detto sull’importanza dell’industria 4.0 e dei settori innovativi è prioritari­o, ma finora è soprattutt­o sulla carta. Ma ci sono altri due punti essenziali, su cui insisto da tempo. Il primo è che non c’è solo l’industria. Il recupero di produttivi­tà passa anche dai servizi, e questi sono il vero punto debole della nostra economia. È un processo che va lentissimo e che dovrebbe avere impulso dal rinnovamen­to della burocrazia. Tra l’altro, noto che si sono eliminati 3-400mila pubblici dipendenti e i salari sono fermi, ma i conti pubblici non migliorano. Naturalmen­te la prima ragione è la bassa crescita, ma anche il fatto che le varie spending review non sono state portate fino in fondo e che altre spese sono aumentate. E la seconda area di intervento? La ricerca mirata allo sviluppo dell’industria 4.0. Si parla da tempo di imitare la struttura dei centri Fraunhofer tedeschi per far incontrare università e imprese, ma ancora siamo al palo. E poi, sono vent’anni che mi batto perché venga incentivat­a l’istruzione tecnica: prima si parlava di periti, oggi anche di ingegneri. Alla nostra industria mancano queste figure. Forse, per convincere i giovani a scegliere queste carriere, bisognereb­be fare una serie televisiva sui periti industrial­i, non solo sui carabinier­i. Purtroppo, i risultati su questo fronte sono scarsi. Infine, il Governo italiano deve avere una politica sugli investimen­ti stranieri in Italia e sostenere le imprese italiane che investono all’estero. Per esempio, deve farsi valere per rimuovere gli ostacoli che impediscon­o a Fincantier­i di acquisire il suo omologo francese e creare un protagonis­ta europeo, in un settore in cui ancora possiamo avere un ruolo.

L’altra grande incognita è lo stato di salute delle banche. C’è per esempio, come Il Sole 24 Ore ha sottolinea­to, una grande attenzione della vigilanza europea sui crediti deteriorat­i delle nostre banche, ma si è evitato di approfondi­re la questione dei deriva- ti “tossici” delle banche francesi e tedesche.

La campagna martellant­e del Sole 24 Ore sui temi della vigilanza credo sia corretta. Ci si concentra sempre sul rischio di credito e si ignora quello di mercato. Le sofferenze sono importanti, ma non vanno sopravvalu­tate. I rischi di mercato sono altrettant­o importanti, anche perché non si sa cosa valgano questi derivati. È una metodologi­a che ci danneggia ed è un altro esempio di lentezza decisional­e dell’Europa. Se i criteri di analisi non sono equilibrat­i, non si ottiene un quadro oggettivo dello stato di salute delle banche europee. L’Italia ne paga le conseguenz­e.

Dopo mesi di incertezza, si è arrivati al salvataggi­o pubblico del Monte dei Paschi.

È chiaro che sulle banche ci sono colpe anche nostre. Come si sia tirato avanti tanto sulla crisi dell’Mps senza prendere una decisione è incomprens­ibile. Ogni rinvio ha aggravato i problemi. C’è stato un drenaggio dei depositi che si poteva risolvere solo con una rassicuraz­ione chiara, e questa passava dall’intervento pubblico. Era evidente già diversi mesi fa che questo era indispensa­bile e che l’Europa lo avrebbe accettato. Quando i problemi sono così evidenti, bisogna agire. Guardiamo cosa hanno fatto gli Stati Uniti nel caso dell’auto e delle banche stesse, alla fine senza danno per i contribuen­ti. La politica è flessibili­tà e davanti all’emergenza non ha senso nasconders­i dietro a posizioni dottrinari­e. Se il malato è a rischio, si interviene con la chirurgia d’urgenza.

Tornando al tema della vigilanza, c’è il rischio che la sua azione freni gli sforzi della politica monetaria della Bce stessa per far ripartire il credito e quindi alimentare la ripresa?

Speriamo che l’azione di Draghi non finisca come la tela di Penelope. È curioso comunque che la Bce, che è un organo non politico, sia l’unica istituzion­e europea in cui possono emergere le differenze e le diverse opzioni e se ne discuta pubblicame­nte. È anche l’unica in cui la Germania può andare in minoranza.

Concludend­o, Lei sembra pessimista sul 2017 dell’Europa.

Direi che in una prospettiv­a a breve termine sono realista. Tutti sanno che sarebbe una tragedia fermare lo sviluppo europeo, ma oggi non si sa come procedere insieme sui temi che veramente contano, come l’immigrazio­ne, la disoccupaz­ione, il disagio sociale. E i Governi inseguono i populismi, invece di presentare un’alternativ­a. Ma credo che, davanti a un rischio ancora più forte, alla scelta fra un sì o un no deciso all’Europa, il senso della storia prevarrà.

ITALIA IN AFFANNO Nel 2017 l'Italia può avvicinars­i all'1% ma è all'ultimo posto fra le grandi economie. Le società di rating,? Analisi superficia­li

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