La fusione alla pari è solo l’inizio
ÈEssilor che si compra un padrone o è Del Vecchio che prepara la successione con i francesi? La risposta è da Giano bifronte. Essilor è una public company che, dopo l’unione con Luxottica, avrà in Delfin un azionista al 31% dei diritti di voto.
Leonardo Del Vecchio sarà presidente esecutivo e amministratore delegato della nuova entità combinata, ma il presidente e ceo della società francese, Hubert Sagnières, avrà gli stessi poteri pur avendo la carica di vicepresidente e ad di Essilor-Luxottica. Preparata in quattro anni, l’operazione è, sotto diversi profili, un merger of equals, ma la situazione di partenza è destinata a essere transitoria.
Le dimensioni. Dall’unione dei due gruppi nascerà il leader mondiale dell’occhialeria, l’unico con attività integrata dalle lenti (quota di mercato del 40%), alla montatura (10%), alla distribuzione (11%). I ricavi combinati - sui dati di bilancio 2015 - sono di oltre 15 miliardi, con un Ebitda aggregato di oltre 3,5 miliardi e una struttura finanziaria solida (net debt/Ebitda pari a 0,9 sui dati 2015). Il giro d’affari combinato deriva per il 37% dalle lenti, per il 35% dal retail, per il 27% dagli occhiali da sole e dall’attività wholesale. Geograficamente, il 54% dei ricavi sono originati in Nord America, il 22% in Europa, il 6% in America latina, il 18% nel resto del mondo (Asia-Pacifico, Medioriente, Africa). La capitalizzazione di Borsa pre-annuncio era di circa 22 miliardi per Essilor e di 24 miliardi per Luxottica.
L’operazione. Nella forma, l’operazione è strutturata come un’acquisizione di parte francese. Essilor infatti rileverà la quota di Delfin in Luxottica e poi promuoverà un’Ops finalizzata a ritirare il flottante in Piazza Affari (questione aperta l’eventuale doppia quotazione). Essilor diventerà poi holding, mantenendo la sede a Parigi, col nuovo nome di Essilor-Luxottica, mentre le sue attività operative saranno scorporate in Essilor International. Quest’ultima e Luxottica, almeno in una prima fase, resteranno separate con due board autonomi. Tuttavia, nella sostanza, è Delfin che, conferendo Luxottica, “compra” la maggioranza del nuovo gruppo: in questo senso si spiega perchè il concambio proposto (0,461 azioni Essilor per ogni azione Luxottica) offra non un premio bensì uno sconto dell’ordine del 5% sulle quotazioni della società italiana pre-annuncio (quotazioni che erano già sotto del 25% rispetto al massimo storico).
Due culture diverse. Essilor è una società manageriale senza azionisti di riferimento, Luxottica è una società padronale ancora gestita dal suo fondatore che finora ha tenuto stretto, con la maggioranza assoluta (oggi il 62%), anche il controllo azionario. Come si integreranno le due culture? La risposta è tutta da costruire. La holding comune avrà un board composto da 16 amministratori, con otto consiglieri, di cui quattro indipendenti, per ciascuna parte e comprendendo, da un lato, Sagnières e, dall’altro, Del Vecchio. Il punto di contatto tra le due società operative sarà il comitato per l’integrazione.
La complementarietà. Industrialmente i due gruppi sono complementari: Essilor focalizzata sulle lenti ottiche, Luxottica sulle montature e la distribuzione. I prodotti di Essilor sono più aggredibili dalla concorrenza, quelli di Luxottica sono “protetti” dalla riconoscibilità del marchio. Avendo il contatto diretto col mercato, grazie alla rete di
LA FINANZA Operazione strutturata come acquisizione di parte francese, ma è Delfin che «compra» la maggioranza
L’INDUSTRIA Da due gruppi complementari nasce il leader «integrato» dell’occhialeria: dalle lenti alla montatura
negozi, la scommessa per Luxottica è di riuscire a “fidelizzare" il cliente anche sulle lenti correttive grazie alla qualità del prodotto.
Le sinergie. Le sinergie di ricavi e costi sono stimate nell’ordine di 400-600 milioni a medio termine, e a crescere successivamente. 200-300 milioni sono previsti sul lato dei ricavi sfruttando l’accelerazione della crescita del mercato. Altrettanto è stimato sul lato dei costi con 150-200 milioni derivanti dall’ottimizzazione della catena distributiva e 70-100 milioni dal risparmio di spese generali e amministrative, nonchè dalla riduzione dei costi d’acquisto. La domanda è: fino a che punto si potranno sprigionare queste sinergie mantenendo le società operative separate?
Un progetto da costruire. Gettate le basi, i prossimi anni diranno se da due realtà complementari ma differenti si riuscirà a far nascere un gruppo coeso e vincente. Sul versante dell’azionariato è probabile, ma non scontato, che il futuro sia la public company.