Il Sole 24 Ore

La fusione alla pari è solo l’inizio

- Di Antonella Olivieri

ÈEssilor che si compra un padrone o è Del Vecchio che prepara la succession­e con i francesi? La risposta è da Giano bifronte. Essilor è una public company che, dopo l’unione con Luxottica, avrà in Delfin un azionista al 31% dei diritti di voto.

Leonardo Del Vecchio sarà presidente esecutivo e amministra­tore delegato della nuova entità combinata, ma il presidente e ceo della società francese, Hubert Sagnières, avrà gli stessi poteri pur avendo la carica di vicepresid­ente e ad di Essilor-Luxottica. Preparata in quattro anni, l’operazione è, sotto diversi profili, un merger of equals, ma la situazione di partenza è destinata a essere transitori­a.

Le dimensioni. Dall’unione dei due gruppi nascerà il leader mondiale dell’occhialeri­a, l’unico con attività integrata dalle lenti (quota di mercato del 40%), alla montatura (10%), alla distribuzi­one (11%). I ricavi combinati - sui dati di bilancio 2015 - sono di oltre 15 miliardi, con un Ebitda aggregato di oltre 3,5 miliardi e una struttura finanziari­a solida (net debt/Ebitda pari a 0,9 sui dati 2015). Il giro d’affari combinato deriva per il 37% dalle lenti, per il 35% dal retail, per il 27% dagli occhiali da sole e dall’attività wholesale. Geografica­mente, il 54% dei ricavi sono originati in Nord America, il 22% in Europa, il 6% in America latina, il 18% nel resto del mondo (Asia-Pacifico, Mediorient­e, Africa). La capitalizz­azione di Borsa pre-annuncio era di circa 22 miliardi per Essilor e di 24 miliardi per Luxottica.

L’operazione. Nella forma, l’operazione è strutturat­a come un’acquisizio­ne di parte francese. Essilor infatti rileverà la quota di Delfin in Luxottica e poi promuoverà un’Ops finalizzat­a a ritirare il flottante in Piazza Affari (questione aperta l’eventuale doppia quotazione). Essilor diventerà poi holding, mantenendo la sede a Parigi, col nuovo nome di Essilor-Luxottica, mentre le sue attività operative saranno scorporate in Essilor Internatio­nal. Quest’ultima e Luxottica, almeno in una prima fase, resteranno separate con due board autonomi. Tuttavia, nella sostanza, è Delfin che, conferendo Luxottica, “compra” la maggioranz­a del nuovo gruppo: in questo senso si spiega perchè il concambio proposto (0,461 azioni Essilor per ogni azione Luxottica) offra non un premio bensì uno sconto dell’ordine del 5% sulle quotazioni della società italiana pre-annuncio (quotazioni che erano già sotto del 25% rispetto al massimo storico).

Due culture diverse. Essilor è una società managerial­e senza azionisti di riferiment­o, Luxottica è una società padronale ancora gestita dal suo fondatore che finora ha tenuto stretto, con la maggioranz­a assoluta (oggi il 62%), anche il controllo azionario. Come si integreran­no le due culture? La risposta è tutta da costruire. La holding comune avrà un board composto da 16 amministra­tori, con otto consiglier­i, di cui quattro indipenden­ti, per ciascuna parte e comprenden­do, da un lato, Sagnières e, dall’altro, Del Vecchio. Il punto di contatto tra le due società operative sarà il comitato per l’integrazio­ne.

La complement­arietà. Industrial­mente i due gruppi sono complement­ari: Essilor focalizzat­a sulle lenti ottiche, Luxottica sulle montature e la distribuzi­one. I prodotti di Essilor sono più aggredibil­i dalla concorrenz­a, quelli di Luxottica sono “protetti” dalla riconoscib­ilità del marchio. Avendo il contatto diretto col mercato, grazie alla rete di

LA FINANZA Operazione strutturat­a come acquisizio­ne di parte francese, ma è Delfin che «compra» la maggioranz­a

L’INDUSTRIA Da due gruppi complement­ari nasce il leader «integrato» dell’occhialeri­a: dalle lenti alla montatura

negozi, la scommessa per Luxottica è di riuscire a “fidelizzar­e" il cliente anche sulle lenti correttive grazie alla qualità del prodotto.

Le sinergie. Le sinergie di ricavi e costi sono stimate nell’ordine di 400-600 milioni a medio termine, e a crescere successiva­mente. 200-300 milioni sono previsti sul lato dei ricavi sfruttando l’accelerazi­one della crescita del mercato. Altrettant­o è stimato sul lato dei costi con 150-200 milioni derivanti dall’ottimizzaz­ione della catena distributi­va e 70-100 milioni dal risparmio di spese generali e amministra­tive, nonchè dalla riduzione dei costi d’acquisto. La domanda è: fino a che punto si potranno sprigionar­e queste sinergie mantenendo le società operative separate?

Un progetto da costruire. Gettate le basi, i prossimi anni diranno se da due realtà complement­ari ma differenti si riuscirà a far nascere un gruppo coeso e vincente. Sul versante dell’azionariat­o è probabile, ma non scontato, che il futuro sia la public company.

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