Trump, la Germania contrattacca
Merkel: noi europei padroni del nostro destino - Schäuble: pericoloso tornare al protezionismo
pIl cancelliere tedesco Angela Merkel, che si è trovata ieri nel mirino delle invettive del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha fatto del suo meglio per rispondere nel modo più diplomatico senza deflettere dalle sue posizioni, ma in Germania cresce la preoccupazione per possibile iniziative protezionistiche della nuova amministrazione americana, che finirebbero per danneggiare l’economia con le più alte esportazioni nel mondo.
A Trump, che in un’intervista al quotidiano popolare “Bild” ha sostenuto di fidarsi della signora Merkel, come del presidente russo Vladimir Putin, «per ora» e che la politica di porte aperte ai rifugiati del capo del Governo tedesco è stato «un errore catastrofico», il cancelliere ha replicato solo che Trump «ha presentato ancora una volta le due posizioni. Le mie sono note». E all’osservazione del presidente eletto che l’Unione europea è «un veicolo per la Germania» e che «la Nato è obsoleta», ha risposto, senza entrare in dettagli, che «noi europei abbiamo il nostro destino nelle nostre mani». Più esplicito, il sottosegretario alle Finanze, Jens Spahn, astro nascente della Cdu, il partito di Angela Merkel, e considerato un suo possibile successore. A Trump l’Europa deve replicare, ha detto Spahn, sul commercio e sulla Nato «parlando con una voce sola». Il ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, che il mese prossimo verrà eletto presidente della Repubblica, dopo un incontro alla Nato a Bruxelles ha parlato di «stupore e ansietà» con cui sono state accolte le dichiarazioni di Trump sull’alleanza atlantica.
La signora Merkel tuttavia ha cercato di enfatizzare, prima attraverso il suo portavoce e poi direttamente, in una conferenza stampa con il primo ministro neozelandese, la sua volontà di collaborare con il prossimo presidente americano. Secondo fonti diplomatiche, la cancelleria sarebbe al lavoro per orga- nizzare un incontro fra Trump e Merkel in primavera, nel contesto delle riunioni del G-20, del quale quest’anno la Germania ha la presidenza di turno. Trump dovrebbe partecipare al vertice dei capi di Stato e di Governo dei venti nel luglio prossimo ad Amburgo.
Proprio facendo riferimento al G-20, a Berlino avevano sottolineato nei giorni scorsi, a fronte delle indicazioni provenienti da Washington secondo cui gli Stati Uniti potrebbero adottare misure protezioniste, come quelle invocate dal candidato Trump in campagna elettorale, che la Germania intende utilizzare la piattaforma del gruppo che riunisce le principali economie avanzate ed emergenti per ribadire la necessità di non ostacolare il commercio internazionale. Su questo punto, è tornato esplicitamente il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, in un’intervista uscita ieri sul “Wall Street Journal”. «Chi vuole la crescita economica, e credo che il prossimo Governo americano la voglia, deve essere a favore di mercati aperti», ha dichiarato Schaeuble, che ha sostenuto come il protezionismo possa dare qualche vantaggio nel breve termine, ma è inevitabilmente dannoso nel lungo periodo. Anche Schaeuble ha detto di voler collaborare con la nuova amministrazione Usa nel modo «più costruttivo possibile » , frase che sembra riflettere poerò un certo scetticismo.
L’atteggiamento di Trump in materia commerciale non può non preoccupare l’establishment industriale tedesco, in un’economia dove la manifattura è da sempre orientata verso l’export. Un tasto dolente è l’ipotesi che la prossima amministrazione americana possa introdurre dazi del 35% sulle importazioni dal Messico, dove diverse case automobilistiche tedesche hanno una importante base produttiva. «Prendiamo molto seriamente» le dichiarazioni di Trump, ha detto il presidente dell’associazione delle case automobilistiche, Matthias Wissmann. Fonti del settore rilevano tuttavia che le case tedesche hanno anche una presenza forte negli Stati Uniti, da dove producono non solo per il mercato interno, ma anche per l’esportazione, e che la competitività delle loro fabbriche americane dipende anche dall’import di componenti a più basso costo dal Messico.
I TIMORI DI BERLINO Il primo esportatore mondiale prende «molto seriamente» la minaccia di dazi al 35% sull’import di autoveicoli