La memoria corta di Donald nei confronti dell’Europa
Si può non essere preoccupati per le sorti dell’ordine internazionale (alla cui crisi Foreign Affairs ha dedicato il suo ultimo numero), quando il neopresidente degli Stati Uniti e il Cremlino condividono lo stesso, giudizio, critico e tranchant («obsoleta») sulla Nato? O quando Vladimir Putin e Angela Merkel sono ritenuti «egualmente credibili», sempre da Donald Trump, come se la Germania non rappresentasse il primo alleato degli Stati Uniti sul continente europeo e la Russia il principale competitor?
L’intervista pubblicata domenica scorsa dal Times e dalla Bild è da far accapponare la pelle, non solo per le affermazioni fatte, ma per l’impasto di disinformazione, superficialità e arroganza che esprime. Invece che moderarsi nel suo cammino dalla campagna per le primarie all’imminente insediamento alla Casa Bianca (tra tre giorni), Donald Trump ha accentuato i toni sguaiati e i contenuti irricevibili delle sue dichiarazioni. La domanda che occorre porsi, a questo punto, è se la Nato e, più in generale, la relazione transatlantica sopravviveranno a quattro anni di presidenza Trump. E non c’è da esserne certi. Già in occasione della Remembrance Sunday, la domenica di novembre in cui in Gran Bretagna e nei Paesi del Commonwealth si onorano i caduti in guerra (l’equivalente del Memorial Day americano), l’appena eletto Trump aveva pensato bene di celebrare la ricorrenza sostenendo che gli alleati della Nato «non pagano abbastanza per la difesa comune»: concetto ripreso domenica scorsa, arricchito dalla considerazione sull’obsolescenza dell’Alleanza, che «non si prende cura della guerra al terrorismo». Le parole dignitose con le quali il segretario generale Stoltenberg replicò allora sono valide anche oggi: «Oltre 1000 soldati europei sono morti in Afghanistan combattendo accanto agli americani dopo l’11 settembre», ricordando che i costi di un’alleanza non si valutano solo in termini finanziari, perché i caduti per una causa comune esprimono assai più drammaticamente il “commitment” degli alleati.
Il signor Trump dovrebbe ricordare (sempre che l’abbia mai saputo) che dopo l’11 settembre furono gli alleati europei a invocare l’articolo 5 del Trattato per offrire il proprio aiuto concreto e immediato all’America ferita e attonita. E che fu l’Amministrazione Bush a rifiutare l’offerta, per aver mano libera con le più addomesticabili «coalizioni di volenterosi». Salvo poi richiedere sempre più soldati all’Europa a mano a mano che anche in Afghanistan la situazione cominciava a deteriorarsi, in particolar modo a partire dall’invasione americana dell’Iraq nel 2003. A quest’ultima ha fatto implicitamente riferimento il Vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel quando, commentando il giudizio rivolto alla politica di accoglienza della Merkel , definita «un errore catastrofico», ha ricordato che la crisi migratoria è anche il risultato delle fallimentari politiche interventiste americane nel Mediterraneo e nel Medio Oriente»(Iraq e Libia).
Tanto per non farci mancare nulla, Donald Trump ha definito l’Unione Europea uno «strumento della Germania», affermando che altri Paesi seguiranno l’esempio inglese, e ha invece auspicato un’intesa complessiva con la Russia. Ora, al di là del fatto che certe sue affermazioni sono in contrasto con quelle del suo futuro Segretario alla Difesa, altre hanno fatto imbufalire i cinesi («la politica di una sola Cina è rivedibile»), altre ancora rischiano di gettare benzina sull’incendio mediorientale («quello sul nucleare iraniano è l’accordo più idiota mai visto»), ciò che lascia attoniti è l’esibizione orgogliosa e arrogante di tanta incompetenza. Ben più delle sorti del sistema sanitario americano, ciò che preoccupa noi europei, e come, in base a quali principi e con quali alleati, il signor Trump è intenzionato a esercitare la leadership degli Stati Uniti. Che continuando così rischia di non sopravvivere (insieme alla Nato) ai prossimi quattro anni della sua presidenza.