I ritardi sul bollino di qualità frenano la crescita all’estero
La certificazione delle manifestazioni resta ancora poco diffusa
Un “bollino blu” di qualità – riconosciuto a livello internazionale – per le fiere italiane? L’Italia resta indietro. Staccata, sempre in prima linea, da Francia e Germania. Ma anche da Spagna, Polonia e Turchia.
Per questo «bisogna rendere la certificazione delle fiere italiane obbligatoria. Per poter accedere ai fondi e agli incentivi pubblici, per poter favorire le iniziative di incoming e soprattutto per presentarsi a buyer e operatori internazionali con un biglietto da visita di credibilità e competitività essenziale per stare sui mercati globali». A chiederlo, ieri a Milano – nel corso di un evento ospitato nella sede dell’Ice proprio per fare il punto sul tema – è stato Franco Boni, presidente di Isfcert, nato nel 2005, per fronteggiare l’esigenza di certezza e trasparenza dei dati sulle manifestazioni fieristiche.
Anche perchè, ha ricordato Loredana Sarti, segretario generale di Aefi (l’associazione espositori italiani): «Le fiere generano affari per 60 miliardi l’anno e danno origine al 50% del nostro export».
L’Italia, infatti, è il 2° polo fieristico europeo dopo la Germania. E con l’aumento delle manifestazioni “Made in Italy” esportate all’estero e quelle italiane che diventano punti di riferimento per operatori stranieri (dalla moda all’arredo-design, dal food alla meccanica agricola), gli organizzatori si misurano sui numeri e si confrontano sulla qualità.
Quindi, certificare ingressi (tra espositori e visitatori), quanti incontri o iniziative di incoming effettuati, quanti e quali servizi si è in grado di offrire (sia fisicamente tra i padiglioni sia su web piattaforme) diventa necessario. Senza “bollino” ci si priva di una patente di credibilità. Non impedisce di correre. Ma è come presentarsi ai blocchi di partenza con i pesi alle caviglie e voler fare i tempi di tedeschi e francesi.
Infatti, siamo indietro. In Germania, da oltre 30 anni, tutte le manifestazioni fieristiche sono certificate. In Francia la certificazione è obbligatoria in quanto legata a una normativa statale.
La classifica europea 2015 evidenzia, al primo posto, la Francia, con 579 fiere certificate (proprio perché obbligatoria), seguita da Turchia (419), Spagna (261), Polonia (199), Germania (198), Italia (181), Russia (150), Svizzera (84), Finlandia (66) e Belgio (61). Secondo l’Euro Fare Statistics di Ufi, su 2420 manifestazioni europee, 2060, (l’85%) sono certificate.
In Italia, invece, le fiere ricado- no sotto l’ombrello delle Regioni. Il ministero dello Sviluppo economico non ha il potere di imporre la certificazione. Solo una moral suasion. Che nel periodo 20132014, si è tradotta in fondi ad hoc per supportare il processo di certificazione delle manifestazioni: rispettivamente, 500mila euro nel 2013 e 200mila nel 2014, destinati ad abbattere del 50% i costi sostenuti per certificarsi e fare una campagna promozionale sui media. Non a caso nelle delibere Ice per l’accesso ai fondi,averla non è obbligatorio, ma aiuta.
Gli incentivi ora sono terminati, ma sono stati decisivi. Sono 270 le fiere italiane che da gennaio 2013 a dicembre 2016 hanno richiesto il “bollino” Isfcert. In 4 anni, sono state certificati oltre il 60% di tutti i 436 eventi accreditati dal 2006. L’80% al Nord, tra Emilia Romagna, Lombardia e Veneto .« La certificazione dovrebbe distingue rechi merita incentivi e chi no» ha detto Davide Gabaldo ( Italia nExhi biti onGroup,ch eri unisce le Fiere di Rimini e Vicenza ).
«Quando facciamo collettive o partnership con operatori esteri, è grazie alle certificazioni – ha spiegato Riccardo Gaslini (direttore Fiere di Ucimu, che ha accreditato i 3 eventi Bimu, Sfortec e Lamiera) –. Tuttavia, i protocolli andrebbero aggiornati, per tenere conto delle specificità di sistema (ad esempio, per noi i visitatori sono spesso anche espositori) e valorizzare la filiera».
IL CONFRONTO In Germania è pratica consolidata, in Francia è un obbligo di legge In Italia il nodo delle decisioni demandate alle Regioni