Fendi energetico, Prada ribelle
Anche N°21 torna al bomber e al parka, Msgm con il foulard in testa
Oggi che tutto, persino il quotidiano e il banale, sono diventati oggetto di condivisione planetaria a solo scopo di lucro - anche l’autopromozione attraverso i social è una forma di commercio - si avverte un bisogno diffuso di onestà e umanità. I machiavellici che muovono le fila di ogni cosa hanno già trovato la soluzione al problema: re
ality storytelling. Ovvero, si sceglie un registro espressivo più intimo, un tono più amichevole, per fare in fondo sempre la stessa cosa: mettere in scena. All’impasse non si sfugge, ma almeno l’estetica progredisce. Nella moda va così. Il realismo morbido - opposto al cinismo aggressivo propinato dai brutalisti post-sovietici - è il messaggio vero di questa tornata di sfilate. «Ho lavorato su pezzi che abbiano senso e autenticità, in una collezione che definirei semplice, umana, persino modesta» racconta Miuccia Prada, moderatamente provocatoria se non altro sulla modestia, introducendo il guardaroba del contestatore versione 2017, composto come nel ’68 di pantaloni e giacchette di velluto a coste, trench da infiltrato e desert boot da corteo, accessoriato di collanine di conchiglie, rametti in forma di ciondolo e poi piccole borse come manuali situazionisti. «Crudezza, durezza e ribellione» sono i vocaboli con i quali Prada sintetizza il messaggio, decisamente autobiografico se si considerano i trascorsi insieme borghesi e contestatori della signora. L’immagine del giovinetto che ha letto Marx, ma abita alle Cinque Vie indubbiamente affascina, ma manca forse lo scarto con cui Prada in genere schiva l’ovvio e il letterale. Anche da N°21 è tempo di ribellione: qui si scende davvero per strada con il parka o il bomber addosso, la felpa ricamata, i pantaloni dalla piega affilata e gli scarponi combattivi. Contemporaneo e concentrato, Alessandro Dell’Acqua realizza un collage di bombarolo e di ska, di modaiolo e di ruvido che convince.
Il realismo di Fendi ha un tono ottimista ed energetico, quasi pop. È condensato in slogan affermativi come insegne pubblicitarie che si accendono su abiti e accessori pragmatici, realizzati con la perizia unica e il gusto irridente dello spiazzamento che sono tratto saliente del dna Fendi. Ecco allora il k-way di visone e le ciabatte di montone, il proliferare di bande sportive e i pantaloni tipo tuta. Nel vorticare di parole, torna in auge il logo: elemento che rassicura perché carico di storia, non vana esibizione.
La stagione milanese, in linea generale, appare alquanto sobria. Sottotono non solo per la magrezza del calendario, ma per presa di posizione estetica. L’esordio di Guillaume Meilland alla direzione creativa della collezione uomo di Salvatore Ferragamo, ad esempio, è all’insegna dell’understatement: linee morbide, colori spenti, allure pensosa. La calma è finanche eccessiva, però. La passerella in fondo richiede altro: se non stravaganze, almeno idee che costringano a fermare il pensiero. L’esordio di Lee Wood da Dirk Bikkembergs è un reset: abbandonati mutande e superomismi, si torna ai codici marziali e sensuali dei primordi, quando Bikkembergs era leader tra gli Antwerp Six. La collezione è un ottimo inizio: decisa, tesa e muscolare, a tratti monocorde ma frutto di una visione che porterà di certo ad interessanti sviluppi. Da Federico Curradi il rigore dei colori notturni si stempera nella poesia delle linee liquefatte, confermando un talento sicuro e singolare. Damir Doma, il brutalista lirico che a Milano ci sta per scelta, lavora sulle texture, e su silhouette allungate come nastri al vento, con la mano sicura dell’autore vero.
La montagna, sublime e impervia, è lo scenario delle fantasie di Kean Etro, che si produce in un mix stimolante di performance fisica e opulenza decadente, come di Thom Browne, che da Moncler Gamme Bleu porta in spedizione alpinistica la ciurma di cloni vestiti in abitini risicati. Questa volta però non è solo show, perché i pezzi sono vivi e possibili. Diverte il preppy fuori registro di MSGM - sberleffo azzeccato, il foulard di Elisabetta II sulla testa di giovani working class - passo notevole verso la maturità stilistica, mentre intossica e ipnotizza il glamour grunge di Dsquared2, ripetitivo ma efficae. Sono però due giovinetti nemmeno trentenni, Loris Messina e Simone Rizzo, in arte Sunnei, a rubar la scena con una idea di normalità così poetica, ironica e leggera da rasserenare anche gli animi più agitati.