Nel 2017 la sorpresa sarà la Russia
La r ipresa dei consumi interni di Mosca fa ben sperare - L’export è cresciuto del 28% La filiera soffre del calo mondiale di domanda - Aprea: «Più cultura d’impresa»
pI primi effetti della Brexit, le tensioni geopolitiche, gli eventi terroristici, il calo del prezzo del petrolio, l’incremento del prezzo dell’oro. E poi la stretta sui consumi di lusso in Cina o il cambiamento delle regolamentazioni nella compravendita di preziosi in India.
Sono stati tanti e tutti significativi i fattori negativi che hanno condizionato il consumo mondiale di oro e di gioielli nel 2016. È stato un anno di peggioramento dello scenario globale e di risultati poco brillanti per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno appena passato l’export italiano di gioielleria e bigiotteria ha segnato un -6,2%; se si considera il solo comparto dei gioielli in oro (quasi il 90% delle esportazioni) il calo è stato del 5,8%. Spacchettando per Paesi di destinazione, nella sola area degli Emirati Arabi Uniti le vendite sono scese del 16,3%, più o meno una perdita di 128 milioni di euro di valore. Sono andati male Paesi come la Svizzera (-9,7%) o la Francia (-16,4%), cioé Paesi “di transito”, dove i gioielli made in Italy arrivano per essere poi destinati ai clienti dei grandi marchi della moda piuttosto che ad altre aree mondiali.
Lo scenario internazionale è stato caratterizzato da un forte calo dei consumi globali: la domanda è scesa del 20% (in tonnellate), complice l’andamento in India (- 30%), Paese che da sempre ha detenuto il primato nei consumi mondiali, ma che ora è un mercato in difficoltà, anche a causa di nuove regole sulla compravendita dell’oro, e l’andamento della Cina e di Hong Kong (-20%), aree di forte consumo dove gli acquisti di gioielli di lusso hanno subito un forte ridimensionamento. Un’altra grande area di consumo resta il Medio Oriente, territorio strategico anche per il ruolo di smista- mento (si pensi a Dubai). Ma anche qui si è verificato un calo del potere d’acquisto legato alla discesa del prezzo del petrolio.
A fronte del negativo trend generale del 2016, ci sono, però, per la gioielleria made in Italy alcuni dati confortanti e molto promettenti. Il primo arriva dagli Stati Uniti: nei primi nove mesi dell’anno trascorso l’export italiano negli Usa è salito del 5,7%. «La percentuale e il valore non sono in grado di controbilanciare le perdite subite nelle altre macroaree del mondo - spiega Stefania Trenti, della Direzione studi e ri- cerche di Intesa Sanpaolo -, ma gli Stati Uniti cresceranno ancora; sono già usciti dalla crisi finanziaria del 2009 e saranno mercato promettente anche per il 2017». Quest’anno potrebbe essere una positiva sorpresa la Russia, che, grazie ad una leggera ripresa del prezzo del petrolio, alla stabilità del rublo e, in previsione, ad un clima politico ed economico più disteso rispetto al passato, mostra dei segnali di ripartenza del mercato interno interessanti. «La Russia ha sempe pesato molto sull’export italiano della moda e della gioielleria - continua Trenti -. Dopo aver raggiunto cali impressio- nanti come -30 o -40%, nei primi nove mesi del 2016 il nostro export nel Paese asiatico ha segnato un +28%: un tasso di crescita molto elevato perché la base di partenza era molto bassa, ma significativo di un rinnovato potere d’acquisto». Le esportazioni italiane verso la Russia dei prodotti di gioielleria e bigiotteria hanno raggiunto il loro massimo nel 2007, con 112 milioni di euro, pari al 2,2% dell’export complessivo dall’Italia, per poi scendere fino a soli 33 milioni (0,5%) nel 2015, con la Russia al 25° posto tra gli sbocchi commerciali.
In generale, comunque, la filiera italiana del gioiello esce dal 2016 ulteriormente indebolita dal quadro macroeconomico mondiale. Si tratta di un campanello d’allarme, una battuta d’arresto, dopo una fase nei 2-3 anni precedenti in cui le performance italiane erano ridiventate positive. Non c’è una specifica difficoltà delle imprese italiane, che, invece, nell’ultimo decennio hanno saputo riposizionarsi in una fascia alta di prodotto conquistando quote di mercato. «Quello che ancora manca - dice il presidente del Club degli Orafi e del brand Chantecler Gabriele Aprea -, nel contesto di incertezza molto elevata, è la cultura d’impresa. Tra le nostre aziende, mediamente troppo piccole per affrontare i mercati di oggi, c’è una grande cultura di mestiere ma manca la cultura d’impresa intesa come capacità di investire nell’organizzazione, nell’amministrazione, nella managerialità. È necessario un controllo economico e finanziario della propria impresa che la faccia crescere e sopravvivere ai competitor internazionali e a chi la voglia comprare. Il solo prodotto di qualità non basta più e non c’è più spazio per l’improvvisazione, oggi non si può trascurare nessun dettaglio».
L’industria sta soffrendo: vorrei poterle dire di no, ma è così. Di fatto, si tratta di un riflesso di ciò che nel 2016 è accaduto a livello globale: la domanda di prodotti di oreficeria è crollata, sull’onda della nuova legislazione indiana che limita l’uso dei contanti, della legge anti corruzione che sta frenando gliacquisticinesi,delcalodelprezzo del petrolio. Non potevamo non avere ripercussioni.
Da dove arrivano, invece, i segnali positivi?
Ci sono Paesi che, a livello globale, hanno comprato più gioielli rispetto allo stesso periodo del 2015: l’Iran, per esempio. Ma anche il Regno Unito, il Messico, la Germania e gli Usa. Nel nostro focus ci sono anche i paesi emergenti come quelli africani, ma anche Malesia e Vietnam.
L’internazionalizzazione è sempre uno dei vostri obiettivi primari?
Certo. Vendiamo soprattutto all’estero e dobbiamo coltivare i mercati che hanno potenziale maggiore. Soprattutto, dobbiamo aiutare le nostre aziende, che sono perlopiù piccole e medie imprese, ad approcciare questi mercati.
La collaborazione con l’Ice si inserisce in questo contesto?
Sì. L’idea di base è quella di fornire alle aziende non solo un contributo economico, ma una serie di misure concrete per la valorizzazione delle loro produzioni, a partire dal marketing e dalla comunicazione.
Quali sono stati gli ultimi progetti realizzati in collaborazione con l’Ice?
Abbiamo sostenuto circa 200 aziende italiane sul mercato americano con una serie di misure ad hoc. E sono convinta che questo piano abbia influito sull’andamento delle esportazioni del gioiello made in Italy negli Usa. Che nei primi nove mesi dell’anno sono aumentate. Ora portiamo 34 top buyer a stelle e strisce a Vicenza Oro: il progetto è in pieno svolgimento.
Avvierete iniziative simili anche in altri paesi?
Vorremmo realizzare un piano per agevolare l’accesso delle pmi dell’oreficeria italiana in Giappone, dove nel 2020 ci saranno le Olimpiadi. Poi c’è l’Iran, un paese cui guardiamo con grandissima attenzione. E la Russia? L’export verso quest’area è tornato a crescere. Aspettiamo e vediamo: se gli Usa, come sembra dalle intenzioni del presidente eletto Trump, dovessero alleggerire le sanzioni imposte alla Russia, l’oreficeria made in Italy avrebbe sicuramente dei benefici.
Oltre all’internazionalizzazione quali strategie avete messo in campo per il rilancio?
Io continuo a ribadire l’impor-
SCENARIO DI TENSIONI L’industria orafa risente delle tensioni geopolitiche, ma anche delle difficoltà del mercato in India e in Cina, Paesi tra i maggiori consumatori
LA CONGIUNTURA L’export italiano dei primi nove mesi del 2016 ha ceduto il 6,2%, percentuale che si attesta al 5,8 se si considera la sola gioielleria in oro
«Stiamo studiando un piano per agevolare l’accesso delle Pmi in Giappone»
tanza dell’innovazione: nella gestione dei processi produttivi, nella comunicazione e nella vendita, adottando quel modello “ibrido” che la moda e il lusso stanno già adottando. Il mondo è cambiato profondamente e dobbiamo far fronte ai nuovi consumatori e ai loro desideri. Altrimenti? Potremmo avere pesanti ripercussioni sul nostro tessuto industriale, a partire dall’occupazione. Anche per questo stiamo lanciando una serie di iniziative legate alla formazione: da quella tecnica, con scuole professionali volte a preparare gli artigiani di domani, a quella manageriale, rivolta agli imprenditori.
Il vostro legame con la moda e il lusso si va rafforzando?
Sì. Nell’ottica di quel “fare sistema” che ci ha riunito tutti al cosiddetto Tavolo nazionale della Moda voluto dal ministro Calenda. A questo proposito, come Federorafi, stiamo pensando di partecipare alla settimana della moda donna di Milano, a settembre. Organizzeremo un evento per promuovere la gioelleria made in Italy, tra grandi brand e piccoli artigiani.