Samsung, l’erede rischia l’arresto
Lo scandalo di corruzione rischia di travolgere la prima chaebol
pCorruzione, appropriazione indebita, spergiuro in audizione parlamentare. Il leader di fatto del gruppo Samsung, il 48enne Jay Y Lee, saprà domani se dovrà subire l’onta del carcere: deciderà il tribunale centrale di Seul sulla richiesta di arresto avanzata ieri nei suoi confronti dalla commissione indipendente di inchiesta sulle ramificazioni dello scandalo che sta travolgendo la presidente Park Geun-hye (già sotto impeachment e sospesa dalle funzioni).
La corruzione riguarda i finanziamenti – erogati o promessi – a entità facenti capo all’amica della presidente che è al centro dello scandalo, Choi Soon-sil, calcolati in un totale di circa 43 miliardi di won (36,3 milioni di dollari): secondo l’accusa, si tratterebbe anche di vere e proprie tangenti alla presidente, i cui rapporti con l’amica costituirebbero (anche) un sodalizio economico. L’appropriazione indebita di fondi aziendali riguarda la logica dello scambio di favori: Lee avrebbe ottenuto in compenso il via libera del fondo pensione pubblico alla controversa fusione dell’anno scorso tra due affiliate – Samsung C&T e Chiel Industries -, realizzata allo scopo di accrescere la quota della sua famiglia nella capofila Samsung Electronics.
Un rafforzamento della presa dei Lee sul gruppo, insomma, considerata essenziale per favorire un fluido processo di successione dal patriarca Lee Kun-Hee – da tempo malato – a Jay Y e alle due sorelle. Proprio ieri è stato formalmente incriminato l’ex ministro della Sanità – poi presidente del National Pension Service – Moon Hyung-Pyo.
Se l’attuale vicepresidente ed erede designato di Samsung dovesse finire in carcere, subirebbero una battuta d’arresto non solo i piani di successione nel controllo, ma anche quelli di riassetto che il conglomerato ha avviato su pressione di alcuni investitori internazionali. In Borsa il titolo di Samsung Electronics ha perso ieri il 2,1%, dopo il -3,5% di venerdì scorso , il giorno in cui al mattino presto Jay Y Lee era rimerso da un interrogatorio in cui era stato torchiato per 22 ore. Va comunque sottolineato che solo giovedì scorso le azioni avevano toccata un massimo storico, tra risultati migliori delle attese e prospettiva di cambiamenti nella struttura societaria e nella corporate governance.
I clamorosi sviluppi di una inchiesta che si allarga sempre più evocano la possibilità che altri grandi imprenditori possano essere incriminati, visto che sono ben 53 le aziende che hanno finanziato due fondazioni della Choi. «Nel richiedere l’arresto, il team investigativo è giunto alla conclusione che le esigenze della giustizia siano più importanti delle eventuali conseguenze sull’economia», ha dichiarato ieri il portavoce della commissione di inchiesta. Il clima è in pieno quello da “Mani Pulite”, ben diverso da un passato anche recente, quando vari capi di “chaebol” (compreso lo stesso Lee KunHee) ottenevano pene sospese o perdoni presidenziali con l’argomento che altrimenti si sarebbe danneggiata l’economia. Sam- sung – di cui altri tre alti dirigenti rischiano l’incriminazione formale ma non l’arresto – ha respinto le accuse con un comunicato in cui sottolinea di «non aver effettuato contribuzioni al fine di ricevere favori»: si sarebbe trattato di elargizioni disinteressate per la promozione dello sport. Alla quinta udienza della Corte Costituzionale - che deve confermare o meno entro giugno l’impeachment votato dall’Assemblea Nazionale il 9 dicembre -, ieri è stata portata dal carcere per essere interrogata l’amica della presidente, che ha negato di avere interessi economici in comune con la Park.
Lo stesso hanno fatto gli avvocati della presidente, che politicamente è già morta ma il cui destino giudiziario – per quando perderà anche il titolo e non solo le funzioni presidenziali – sembra dipendere in buona parte da quello dei vertici del maggiore conglomerato del Paese. Ad aggiornamento del vecchio detto ironico per cui la Corea veniva definita “Repubblica di Samsung”.
EFFETTO A CATENA La commissione d’inchiesta ha chiesto l’incarcerazione per Jay Y Lee, di fatto leader del più grande conglomerato della Corea del Sud