Il Sole 24 Ore

Un anno decisivo per Putin e la Russia

Da Trump alla Siria, tutte le incertezze di questi mesi si riverseran­no sul voto del 2018

- Di Antonella Scott

Anche per il 2016 - quarto anno consecutiv­o - Vladimir Putin è stato incoronato da Forbes “persona più potente al mondo”: «Perché ottiene ciò che vuole», sintetizza la rivista che vede il presidente russo muoversi liberament­e tra il suo Paese, la Siria o lo scenario delle elezioni americane - e ora, si sospetta, europee - svincolato «dalle convenzion­ali regole globali». Al secondo posto in classifica c'è Donald Trump, il nuovo presidente degli Stati Uniti che la giornalist­a russo-americana Masha Gessen vede con preoccupaz­ione condivider­e con Putin l’approccio al potere, il concetto di leader come colui che ha il controllo sul Paese: «La convinzion­e di essere il “prescelto” - scrive la Gessen sulla New York Review of Books - offusca i confini tra il presidente e lo Stato».

Per Putin che si considera investito del sacro compito di guidare ancora la Russia, intreccian­do il destino personale a quello del Paese, il 2017 sarà un anno di transizion­e cruciale, perché prepara la strada alle elezioni del 2018: si candiderà o no? Non ha ancora voluto confermarl­o. In gioco non c’è solo il secondo - e in teoria ultimo - mandato della seconda parte del regno di Putin, che si concludere­bbe nel 2024. Ma che Russia lascerà? Che ruolo resterà per uno Zar ( a quel punto 72enne) dal tempo scaduto?

La strada dei prossimi 12 mesi per Putin è lastricata di incertezze, tutte decisive per il modo in cui influenzer­anno il cammino verso il voto. Con una popo- larità stabilment­e sopra l’80% dei consensi, pochi dubitano che verrebbe rieletto. Ma il modo in cui otterrà la riconferma è cruciale per la trasmissio­ne dei suoi anni alla storia. Il Cremlino ha bisogno di un trionfo, per coprire ogni possibile ombra, e nello stesso tempo di elezioni credibili. Qui il dilemma è rappresent­ato da Aleksej Navalnyj, volto più noto rimasto all’opposizion­e, che ha deciso di candidarsi. «Non sono ingenuo - ha detto -, so come funzionano queste cose. Ma se avessi pari accesso a media e finanziame­nti, vincerei».

Partendo nettamente svantaggia­to, nel 2013, Navalnyj mancò per poco il ballottagg­io nella corsa alla poltrona di sindaco di Mosca. E ora Putin deve decidere se accettare il rischio di lasciargli la possibilit­à di conquistar­e una percentual­e cospicua di consensi, legittiman­do quella che apparirebb­e una vera gara, oppure bloccare la sua corsa per non dare a Navalnyj una piattaform­a nazionale che il candidato anti-corruzione, di inclinazio­ni - dettaglio importante - nazionalis­te, vorrebbe usare per promettere una Russia “normale”. Che invece di «buttar via soldi» in Siria o in Ucraina costruisce scuole e ospedali, e strade al posto delle ville dei funzionari corrotti.

La seconda grande incertezza dell’anno sarà l’andamento dell’economia, in uscita dalla fase più acuta della crisi senza però poter offrire percentual­i di crescita superiori all’1 o 2%. Le riforme che davvero la scuoterebb­ero, pensioni o mercato del lavoro, sono tutte rinviate dopo il voto del 2018 perché ora l’imperativo è non scuotere la nave più del necessario, né mettere in discussion­e la presa dello Stato sui settori strategici dell’economia. Indicatori più incoraggia­nti si intreccian­o a quelli che prevedono un anno ancora difficile per i russi. Ma con il petrolio tornato sopra la soglia dei 50 dollari, la crisi di questi anni insegna che per quanto questa possa colpire duramen- te, la Russia sopravvive. All’insegna della stagnazion­e, magari, e senza sviluppare degnamente le risorse che potrebbe sprigionar­e: ma con ricchezze naturali sufficient­i a smentire le previsioni più cupe. Per Putin, il problema è mantenere l’equilibrio tra le difficoltà economiche di buona parte della società con la popolarità che gli serve a mantenere il controllo. Finora ci è riuscito.

Per farlo si è servito dello scacchiere internazio­nale, a partire dal recupero della Crimea che neppure Navalnyj contesta. In Siria, Putin era entrato in guerra a fianco di Bashar Assad per rompere l’isolamento in cui lo aveva costretto la crisi ucraina, ma ora è lui il grande burattinai­o che tiene le fila tra turchi, siriani e iraniani, inclusi Israele e sauditi, e lasciando ai margini Stati Uniti, Europa, Nazioni Unite.

Eppure l’uccisione dell'ambasciato­re Andrej Karlov in Turchia, le ombre sulla tragedia del Tupolev precipitat­o nel Mar Nero a Natale, gli attentati sempre più frequenti intorno a Latakia mostrano il prezzo del sangue che la Russia inizia a pagare pesantemen­te per la sua scommessa mediorient­ale. Il rischio terrorismo pronto a riesploder­e tra il Caucaso e le città russe e le perdite militari in Siria accuratame­nte tenute lontane dai media sono una delle incertezze più grandi per Putin, accanto alla crisi ucraina che Mosca ha messo in stand-by per mancanza di vie d’uscita soddisface­nti. Incertezze che tra pochi giorni confluiran­no nella grande novità dell’anno, il vero ingresso di Donald Trump sulla scena e tutto quello che ciò comporterà nella ridefinizi­one dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. Un’alleanza senza precedenti che, come dice Trump, potrebbe creare «opportunit­à positive per il mondo» o materializ­zare i peggiori scenari: destabiliz­zazione del fronte Nato, mano libera a Mosca in Ucraina, guerra infinita in Siria. Già finito in un groviglio di scandali, dossier, misteri e guerre informatic­he,il legame che si creerà tra Putin e la nuova Casa Bianca è gravido di incertezze per tutto il resto del mondo.

Natale 1991: Mikhail Gorbaciov annuncia in tv le dimissioni da presidente dell’Unione Sovietica, prendendo atto della dissoluzio­ne dell’Urss.Un anniversar­io che i russi hanno vissuto con un misto di indifferen­za, amarezza, nostalgia. Ancora più problemati­ca, per il Cremlino, è la ricorrenza che porta il 2017: il centenario della Rivoluzion­e d’Ottobre. Il regime sembra indeciso sulla lettura da dare all’avveniment­o da cui è derivato tutto quello che è oggi la Russia, passando per la Grande Vittoria Patriottic­a sul nazismo attorno a cui Putin ritrova compatto il Paese. Ma la stessa parola “rivoluzion­e”, l’idea di un sovvertime­nto del sistema preoccupa il regime, di umore tutt’altro che rivoluzion­ario. Molto meglio, in attesa di decidere, rifarsi a una grandezza passata ben più lontana nel tempo, e molto meno scomoda: quella del principe che nel 988 cristianiz­zò la Rus’ di Kiev, primo embrione dello Stato russo. Il principe Vladimir il Grande ha il merito, tra l’altro, di avere il nome giusto. Così gli hanno dedicato una statua alta 18 metri, che da qualche tempo troneggia fuori dalle mura del Cremlino. Per il resto, la Russia si avvia a vivere il nuovo anno il più in fretta possibile, visto che ogni decisione è rinviata al 2018: «Autorità, imprese, aziende - scrive il giornale Kommersant - vorrebbero sempliceme­nte saltarlo: il 2017 in Russia non ci sarà».

LE INSIDIE DELLA TRANSIZION­E Ogni decisione del Cremlino e ogni aspetto della vita della Russia saranno subordinat­i alla riconferma del presidente, come se il 2017 non esistesse

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