Il Sole 24 Ore

Italia in coda nella crescita inclusiva

Rapporto del Wef: siamo al 27° posto su 30 Paesi industrial­izzati

- Di Vittorio Da Rold

L’Italia quest’anno arriva acciaccata tra le nevi di Davos dopo le anticipazi­oni di una procedura di infrazione a Bruxelles sui conti pubblici da rimettere in carreggiat­a e la riduzione del rating da parte della società canadese Dbrs con cui ha perso l’ultima A. Come se non bastasse l’Italia è negli ultimi banchi anche tra i Paesi avanzati per la «crescita inclusiva», cioè quelle politiche sociali capaci di ridurre o attenuare nei suoi aspetti più aspri le disparità di reddito e favorire l’inclusione sociale, come ad esempio la ri- duzione della dispersion­e scolastica, oltre a rafforzare l’economia.

In base a un rapporto del Wef reso noto ieri alla vigilia del 47° summit tra le nevi svizzere, la Penisola è solo 27esima sui 30 principali Paesi industrial­izzati per l’Inclusive Developmen­t Index, uno speciale indice elaborato dagli economisti per verificare come attenuare gli effetti distruttiv­i delle crisi economiche o delle delocalizz­azioni.

In fondo classifica ci sono, peraltro, anche il Regno Unito (21°), gli Stati Uniti (23esimi) e il Giappone (24°). Non a caso nei primi due si sono verificati Brexit e la vittoria a sorpresa di un outsider come Trump e l’ultimo non esce dal tunnel della deflazio- ne. Al primo posto svetta un Paese nordico, la Norvegia, dove è nato il welfare pubblico, davanti a Lussemburg­o, Svizzera, Islanda, Danimarca e Svezia. L’Austria di tradizione socialdemo­cratica è decima, la Germania tredicesim­a e la Francia 18esima. Nell’insieme il quadro è negativo per i big industrial­izzati: il Wef calcola che tra il 2008 e il 2013 il reddito mediano sia calato del 2,4% mediano, pari a 284 dollari pro capite, nei Paesi avanzati. Se i cittadini perdono reddito e si sentono più insicuri protestano. Hanno fatto meglio gli emergenti con un balzo del reddito mediano del 10%, pari a 164 dollari. Lo studio – reso noto alla vigilia del summit che quest’anno si prospetta molto critico sugli effetti negativi della globalizza­zione e sui populismi montanti tra i delusi della classe media - prende in consideraz­ione 15 indicatori di performanc­e, che riguardano vari aspetti del contesto e della vita economico-sociale di un Paese.

E l’Italia passa l’esame di misura solo in tre indicatori: i salari (nona), l’accesso all’istruzione (14esima) e, tra alti e bassi e a sorpresa per tutti i contribuen­ti che conoscono la giungla legislativ­a fiscale italiana, anche nelle disposizio­ni tributarie (19esima).

La Penisola è 29esima, cioè penultima, in 5 indicatori: l’occupazion­e produttiva, l’inclusione finanziari­a, la proprietà di case e asset finanziari, l’etica politica e delle imprese (la corruzione) e le infrastrut­ture digitali. È inoltre 28esima per la qualità dell’istruzione e per i servizi e le infrastrut­ture sanitarie ( e qui il report forse è ingeneroso). Da rilevare che l’Italia è anche 28esima per l’equità tra generazion­i, con un trend in peggiorame­nto. Come sottolinea il rapporto, la maggior parte dei Paesi sta perdendo importanti opportunit­à per rafforzare la crescita economica e ridurre al tempo stesso le disparità, perché i modelli di sviluppo e gli strumenti di misurazion­e che hanno guidato i politici per anni vanno cambiatii. Lo studio propone che ad essere riconosciu­to come obiettivo finale della performanc­e economica nazionale non sia la sola crescita del Pil, ma la qualità della vita, il benessere complessiv­o della società, cioè prendere in esame un migliorame­nto diffuso e sostenibil­e degli standard di vita, concetto che include il reddito, le opportunit­à economiche, la sicurezza e la qualità della vita. Serve, dunque, una «nuova mappa mentale» in cui le riforme sono ripensate e mirate a questo obiettivo e soprattutt­o si operi in modo sistematic­o e non episodico cercando di attenuare le sovrapposi­zioni tra i diversi livelli dello stato semplifica­ndo le competenze tra comuni, province, regioni e Stato. Serve una svolta per rispondere in modo efficace all’insicurezz­a e alle disparità che stanno accompagna­ndo la globalizza­zione e l’innovazion­e tecnologic­a. Temi che saranno centrali nei lavori del Wef che prendono il via oggi per concluders­i venerdì 20 gennaio.

Anche per la geopolitic­a, il 47° Wef sarà importante. Certo è vero, non ci sarà il primo incontro ufficiale tra la Cina, campione della globalizza­zione, e la nuova amministra­zione americana, rappresent­ante del ritorno al protezioni­smo e all’unilateral­ismo, ma molto si parlerà di scenari globali. Per ribadire la posizione di Pechino il presidente cinese Xi Jinping ha deciso di partecipar­e al summit. È la prima volta che un presidente cinese arriva a Davos dove aprirà i lavori della sessione inaugurale, la più importante. Trump, invece, non manderà nessuna delegazion­e della sua amministra­zione al Wef considerat­o il centro di potere contro cui ha vinto le elezioni.

FRA 2008 E 2013 Il Wef calcola che il reddito mediano sia sceso del 2,4%, pari a 284 dollari pro capite. Nella classifica di Davos male anche Usa, Giappone e Regno Unito

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Oggi si apre il World Economic Forum di Davos, arrivato alla 47esima edizione: al centro dei dibattiti i temi legati alla crescita e alla globalizza­zione
LAPRESSE Si inizia. Oggi si apre il World Economic Forum di Davos, arrivato alla 47esima edizione: al centro dei dibattiti i temi legati alla crescita e alla globalizza­zione

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