I mal di pancia dei falchi tedeschi e la barra ferma di Mario Draghi
Gli economisti di Commerzbank l'hanno chiamato “l’anno della politica” e il 2017 mostra di esserlo fin dalle prime settimane. La risalita dell’inflazione nell’Eurozona all’1,1%, quasi interamente per effetto del rialzo del prezzo del petrolio, ma all’1,7% in Germania, ha già aperto le cataratte delle critiche alla Banca centrale europea nel Paese che la ospita. Dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, a molti politici ed economisti tedeschi, al fuoco di fila della stampa, nell’economia europea più avversa all’inflazione la ripresa dei prezzi unita ai tassi d’interesse che continuano a rimanere bassissimi e quindi ad aggravare “l’esproprio” dei risparmiatori è già diventato un casus belli.
Le pressioni sono destinate ad accentuarsi man mano che si accenderà la campagna elettorale per il voto di settembre, quando è facile prevedere che la Bce sarà un bersaglio per i politici di ogni colore. Proprio a settembre, nel momento in cui il consiglio dovrà decidere, dopo aver scelto il mese scorso di ridurre a partire da marzo di quest’anno gli acquisti di titoli del Qe, cosa fare l’anno prossimo. Le minute della riunione di dicembre mostrano divisioni abbastanza profonde fra i consiglieri e non c’è dubbio che la voce dei falchi si alzerà nei prossimi mesi, quando l’inflazione dovrebbe continuare a salire (forse sopra il 2% in Germania già dal mese prossimo). Dall’altra parte, c’è chi ritiene che già con la decisione di dicembre il consiglio possa aver dato l’impressione di cedere alla politica, quando ha ridotto lo stimolo senza che ci siano indicazioni di un miglioramento continuativo del quadro dell’inflazione, dato che la scomparsa degli effetti statistici sul petrolio dovrebbe far rientrare il rialzo nella seconda metà dell'anno, e che l’inflazione di base resta stagnante (allo 0,9%) e lontana dai livelli desiderati. C’è il rischio insomma che la credibilità della politica monetaria venga messa a repentaglio. «La funzione di reazione della Bce è ora più confusa» dopo le decisioni di dicembre, secondo Marco Valli, di UniCredit. E Huw Pill, di Goldman Sachs, osserva che tutto resta pesantemente dipendente dalla continuazione di una politica monetaria accomodante.
Non c’è pressoché alcuna possibilità che il consiglio decida oggi altre modifiche al Qe, né ai tassi d’interesse. In conferenza stampa, il presidente Mario Draghi riconoscerà il miglioramento della crescita e dell’inflazione, ma terrà il punto, respingendo le sollecitazione tedesche perché cominci a individuare una via d'uscita dallo stimolo monetario. I prossimi cambiamenti sono lontani, anzi l’allungamento del Qe per nove mesi ha tra gli altri obiettivi quello di mantenere un periodo più lungo di stabilità. Il mese scorso, Draghi ha anzi sostenuto che c’è un’asimmetria nelle prossime mosse: non è alle viste un’ulteriore riduzione del Qe, mentre questo potrebbe essere aumentato di nuovo se la situazione dovesse peggiorare, anche se questa affermazione risulta oggi meno inattaccabile.
A far da sfondo alle decisioni del consiglio c’è poi ancora la politica: non solo quella che verrà, sotto forma delle elezioni francesi e tedesche, ma soprattutto quella che ha già prodotto Brexit e l’ascesa di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. E proprio questi due elementi hanno mostrato nelle ultime ore come potranno pesare sul quadro delle condizioni finanziarie nei prossimi mesi, sotto forma di vaste oscillazioni del cambio. Il dollaro, che si era molto rafforzato dopo l’elezione di Trump, un’evoluzione non del tutto sgradita alla Bce, si è invece ridimensionato quando il presidente che si insedia domani e i suoi consiglieri hanno detto esplicitamente che il cambio si spingeva troppo in là. E la sterlina ha a sua volta invertito la marcia, da una netta svalutazione a un rimbalzo, dopo il discorso del primo ministro britannico Theresa May sulla “hard Brexit”. Sono fattori di disturbo con i quali i decisori di Francoforte, loro malgrado, dovranno confrontarsi ancora per parecchi mesi.