Così i rapporti hanno cambiato segno
DAL VERTICE DEI «TRE AMIGOS» ALLE BARRIERE FISICHE E COMMERCIALI
Todo cambia. In pochi mesi i rapporti politici ed economici tra Stati Uniti e Messico hanno cambiato segno: sei mesi fa il vertice tra i leader di Stati Uniti, Messico e Canada, era stato definito “tres amigos” e il clima era di grande cordialità. Barack Obama, Enrique Pena Nieto e Justin Trudeau si scambiavano cortesie e programmi di cooperazione. Oggi è cambiato tutto. Donald Trump ha stravolto le relazioni bilaterali e modificato gli equilibri regionali.
La narrazione politica e il dialogo culturale che corre lungo il confine tra Stati Uniti e Messico descrive due Muri, uno reale e uno simbolico. Il primo è quello fisico che verrà allungato per scoraggiare l’immigrazione verso gli Stati Uniti. Il secondo attiene alle barriere commerciali, erette per scoraggiare l’attività in Messico di imprese americane. Entrambi annunciati e decisi da Trump.
La barriera fisica, per cominciare. Annunci, rilievi orografici in loco e un intenso lavoro degli sherpa della Casa Bianca. Donald Trump, ben prima di insediarsi alla presidenza, ha spinto sull’acceleratore. «Il Muro si fa, eccome», ha tuonato il tycoon. E infatti ieri è stato firmato un decreto che sblocca i fondi necessari per la costruzione del muro. Le technicalities, ovvio, non sono state definite. L’esempio citato dal neo presidente è quello della Grande Muraglia cinese, con un costo previsto dallo stesso tycoon vicino agli 8 miliardi di dollari. «Al 100% a carico del Messico», ha specificato Trump.
Spiegando che, se il Paese non accetterà di pagare una somma una tantum, verrà modificata una regola del Patriot Act (una legge anti terrorismo), tagliando così parte dei fondi inviati dagli immigrati messicani in patria attraverso i bonifici. Insomma, se gli Usa saranno costretti a sborsare i soldi, «poi il Messico ci ripagherà in qualche modo», ha dichiarato. Toni duri.
Il transition team intanto ha chiesto al dipartimento dell’Homeland security (corrispondente al ministero dell’Interno, ndr) di valutare tutti gli asset disponibili per la costruzione della barriera. Dogane e staff per la protezione dei confini hanno identificato oltre 650 km dove potrebbe essere eretta una nuova barriera, lungo i circa 3.200 km di frontiera tra San Diego e Tijuana che lambiscono quattro Stati americani - California, Arizona, New Mexico e Texas - e sei Stati messicani. Al momento circa 1.030 chilometri sono già protetti da varie forme di recinzione, costruite in tre diversi momenti. Una risposta immediata al radicalismo di una parte del suo elettorato che continua a gridare: «Build the wall, build the wall».
L’altro grande tema sul tappeto delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Messico è il Nafta. L’incontro di ieri sera tra la nuova amministrazione a Washington e i ministri messicani, degli Esteri, Luis Videgaray, e dell’Economia, Ildefonso Guajardo, esplora scenari futuri proprio in merito al Nafta. Un grande accordo trilaterale (con il Canada), nato nel 1994, che oggi Trump vorrebbe stravolgere. E che Pena Nieto, in un’impennata di nazionalismo, non accetta se rivisitato in modo unilaterale. «La rinegoziazione - ha detto il presidente messicano - deve essere concordata e condivisa, altrimenti il dossier finirà nelle mani della Wto». Insomma, un clima davvero poco amicale. Pensare che fino a tre mesi fa, alla vigilia delle presidenziali americane, lungo il confine tra Messico e Stati Uniti fiorivano le integrazioni, si moltiplicavano le associazioni multiculturali e si prefiguravano futuri accordi diplomatici.