Così la Corte lascia la scelta ai partiti
Tanta attesa pernulla. Chisiaspettava che la Consulta fornisse indicazioni per armonizzare i sistemi elettorali di Camera e Senato è rimastodeluso.
La Corte si è limitata ad affermare che «i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee». Su come raggiungere questo obiettivo i giudici non dicono nulla. Né avrebbero potuto farlo. Sono i partiti che devono assumersi la responsabilità di disegnare due sistemi elettorali che possano ragionevolmente favorire la creazione di maggioranze omogenee. Ma nel caso italiano, come abbiamo scritto più volte, questo obiettivo non può essere raggiunto fino a quando i deputati saranno eletti da chi ha diciotto anni e i senatori da chi ne ha venticinque. Le maggioranze omogenee non dipendono solo dall’armonizzazione dei sistemi elettorali, ma anche dall’armonizzazione dei corpi elettorali. E questo richiede una riforma costituzionale.
Ma c’è di più. Le maggioranze omogenee indicate dalla Consulta non sarebbero garantite nemmeno nel caso in cui i sistemi elettorali e i corpi elettorali delle due camere fossero gli stessi perché in ogni caso l’offerta elettorale sarebbe diversa. Una diversa offerta elettorale nelle due camere può da sola produrre esiti diversi. E questo per il semplice motivo che di questi tempi il comportamento degli elettori è talmente volubile che non è detto che gli stessi elettori votino nello stesso modo in due arene diverse. Il problema è alla radice. Due camere con gli stessi poteri, ed elette con sistemi elettorali che “devono” produrre lo stesso risultato per non compromettere la funzionalità del sistema politico, non hanno più senso. Non è di maggioranze omogenee che abbiamo bisogno, ma di una unica maggioranza che dia la fiducia al governo in una unica camera. Come avviene in tutte le democrazie europee.
Adesso i partiti non hanno più alibi. Prima è arrivata la sentenza. Ora ci sono le motivazioni. Il quadro è quello che conosciamo. Abbiamo due sistemi elettorali diversi, ma non troppo diversi da impedire il voto subito. Sarebbe meglio renderli meno diversi. Ma non sarà facile. Alcune cose però si possono fare “facilmente”. Ne indichiamo tre.
La prima è citata dalla stessa Consulta. Il sorteggio per decidere quale collegio debba rappresentare il candidato eletto in più collegi può essere sostituito da una norma che preveda che il collegio sia quello in cui il plurieletto abbia preso più voti. La seconda modifica riguarda la rappresentanza di genere: nella legge elettorale della Camera ci sono norme che tutelano l’equilibrio tra i sessi; vanno trasposte con i dovuti aggiustamenti al Senato. La terza modifica è relativa alla selezione dei candidati al Senato. In questa arena i
IL VERO NODO Difficili in ogni caso maggioranze omogenee con due Camere che danno la fiducia al governo
candidati sono eletti tutti con il voto di preferenza. Le circoscrizioni in cui devono raccogliere i voti corrispondono alle regioni. Questo va bene in Basilicata, ma non in Lombardia. Raccogliere voti di preferenza in una regione ampia come la Lombardia costringe i candidati a campagne elettorali costose e rischiose. Meglio dividere le regioni più grandi in più circoscrizioni. Non sono queste le modifiche che possono servire a creare maggioranze omogenee, ma sono modifiche possibili e utili. Per le altre il cielo può attendere.
Da ultimo una nota sul ballottaggio e la motivazione della Consulta per cancellarlo. Pensavamo che la Corte si sarebbe limitata a dichiarare irragionevole che una camera sia eletta con un sistema a due turni e l’altra no. Invece ha scelto una giustificazione che ignora totalmente il dibattito sulla moderna teoria della democrazia. Nelle 100 pagine della sentenza questo è il punto più interessante. Ne riparleremo.