Quando l’ Irlanda moriva di fame
Camminare per le strade della campagna irlandese, a sud di Cork City, in quel misero inverno del 1845 piagato dalla Grande Carestia, era come addentrarsi nell’Ade. Ovunque giacevano i cadaveri degli sfortunati contadini, decimati dalla malattia delle patate, la “ruggine” che aveva tolto loro quel prezioso tubero come unico sostentamento di vita. Nelle vecchie abitazioni dei villaggi, nelle casupole malandate dei fittavoli, nelle stalle ormai prive di animali, tutti macellati per sopravvivere, un popolo di morenti affidava al proprio Dio cattolico gli ultimi sussulti di un’esistenza grama, già piagata da malattie come il tifo o il colera, certo resa insopportabile dalle angherie dei padroni terrieri (gli squires, di discendenza protestante, imparentati con un’aristocrazia terriera affamatrice). È questo lo scenario dell’ultimo romanzo di Ann Moore, nata nel 1959 a Burford in Inghilterra, intitolato Terra perduta, che ci fornisce una memorabile descrizione di quest’immane tragedia, degna delle famose pagine manzoniane sulla peste. («Madri e figli venivano sotterrati insieme. Non c’era tempo né materiale per costruire le bare, e i corpi venivano avvolti in lenzuoli o in grandi scampoli di iuta. Padre Brown recitava una preghiera per ciascuna salma»). Come non pensare alla scena forte dei
Promessi sposi in cui appare la donna ammalata con la figlia morta in braccio? In questo caso la peste è, ovviamente, la fame totale, mentre torme di diseredati in preda alle febbri si mettono in cammino verso la città nella vana speranza di ottenere cibo («non avevano più semi per seminare... e i pescatori stessi morivano di fame perché avevano venduto le reti»). Anche qui, infatti, abbiamo un Frate Cristoforo che cerca di alleviare i morenti, e che, aiutato dal giovane contadino Abban, «ha appena finito di seppellire una madre e il suo bambino nella terra gelata». Come sappiamo, questa calamità costò all’Irlanda, soggiogata dal dominio inglese, un milione e mezzo di morti e altrettanti di emigrati nel Nuovo Mondo o in Australia. E il “dominio” inglese fu certo corresponsabile di quelle morti atroci, avendo saldamente in mano i vasti latifondi su cui, soggetti a pesanti gabelle e affitti, si chinavano i contadini a lavorare la terra, consegnando poi il grano al mercato internazionale e rimanendo così sempre più indebitati (arrivando persino a barattare il lavoro gratuito con la possibilità di mantenere le loro catapecchie, diventando veri e propri schiavi degli squires).
Terra perduta è un romanzo robusto, ben articolato, dettagliato nei riferimenti storici, che includono la nascita delle prime ri- volte indipendentiste legate al movimento del Giovani Irlandesi, seguaci di O’Connell, in quel cammino lungo e periglioso che avrebbe poi portato, decenni dopo, alla Rivoluzione della Pasqua 1916, e alla lotta armata dell’Irish Republican Army. La sua trama ruota intorno al personaggio femminile di Gracelin O’Malley (detta Grace), giovane figlia di Patrick O’Malley, discendente da una nobile famiglia irlandese depauperata dalla sconfitta di Giacomo II, l’ultimo re cattolico d’Inghilterra. La sua famiglia vive ormai di povera agricoltura, coltivando la terra dello squire Bram Donnelly, proprietario di una delle tante Big Houses, le magioni dei ricchi terrieri poste a controllare le loro campagne. In queste pagine dense e ricche di descrizioni paesaggistiche che valgono la nomea della bella Irlanda, ci viene narrata la storia di Grace, notata dal ricco Donnelly che vuole sposarla quasi per capriccio. Grace ha solo quindici anni, ma si sacrifica per dare alla sua povera famiglia una possibilità di riscatto (magari con l’attenuazione dell’esoso affitto della loro casupola). Donna soave e timorata di Dio, ella accetta questa sottomissione ad un marito ubriacone e arrogante, dandogli una figlia in attesa dell’erede agognato per la successione del titolo.
Moore, che con questo romanzo completa una sua trilogia sulla Grande Carestia, intreccia abilmente la storia di Grace con quella della Resistenza indipendentista irlandese ai suoi albori. Il fratello di Grace, Sean, uno storpio dotato di grande intelligenza e combattività, si unisce infatti ad una Fratellanza segreta, a cui aderiscono amici e famigliari (tra cui Morgan MacDonagh, uno dei capi della rivolta, innamorato perdutamente di Grace) e danno origine ad una micidiale guerriglia che “giustizia”, appena possibile, gli odiati squires, protetti dall’esercito inglese di stanza in Irlanda. In questo secondo filone si innesta il discorso sulla spietatezza dei proprietari inglesi, che non aprirono i loro granai (salvo pochissime eccezioni) alla folla morente. Cosa che invece Grace fa, approfittando dell’assenza di Bram, accogliendo masse di affamati nella sua casa e dando loro cibo. E ciò le costerà l’aggressione punitiva del marito, che la batterà fino a farle perdere il secondo figlio che ha in grembo.
In Terra perduta compare anche, sullo sfondo, un’altra grande tragedia, quella dell’emigrazione americana, che aprirà qualche possibilità di salvezza ad alcuni personaggi, tra cui Sean e la stessa Grace con la sua primogenita, dopo la confisca della casa in seguito alla morte violenta di Bram.
Ann Moore, Terra Perduta, trad. di Chiara Brovelli, Superbeat/Neri Pozza, Vicenza, pagg.443, € 16,50