Di che genere credi di essere?
National Geographic ha dedicato il numero di gennaio al tema delle identità di genere, raccontandone, come sempre con fotografie staordinarie, sia le manifestazioni più fluide e misteriose sia gli stereotipi più rigidi e prepotenti. In un mondo troppo spesso disinformato da chi rimprovera gli studiosi di propagandare l’«ideologia gender» (con improbabili accuse di insegnare ai bambini a diventar bambine e viceversa), era prevedibile che questa iniziativa suscitasse polemiche. Parte della stampa cattolica, per esempio, ha contestato la scelta di mettere in copertina ( in realtà solo per gli abbonati USA) una bimba transgender di nove anni (autorizzata dai genitori). Ma su questo punto rimandiamo alla chiarezza e umanità dell’editoriale firmato dal direttore dell’edizione italiana Marco Cattaneo. A noi ( che ci occupiamo di salute mentale, e del suo legame con la salute sociale) il numero del National Geographic è piaciuto.
Abbiamo apprezzato che una delle principali agenzie internazionali di divulgazione scientifica scegliesse di documentare ( in modo equilibrato e rigoroso, con un utile «glossario» per il grande pubblico, dove per esempio si spiega che la congruenza tra genere esperito e anatomia si definisce cis
gender , essendo l’incongruenza trans- gender) il fenomeno delle identità atipiche di genere in età evolutiva. E lo facesse con immagini di impatto ma rispettose della complessità e dei diversi livelli ( medico, culturale, sociale) implicati. Accostando la varietà delle espressioni identitarie al discorso sugli stereotipi, cioè al modo in cui, nelle diverse culture, viene stabilito chi sono e cosa devono fare il « maschio » e la « femmina». Implicitamente facendoci riflettere, per esempio, sul fatto che alcuni impiegano molta più energia morale a combattere le dinamiche psichiche del genere rispetto alle violenze sociali perpetrate sul genere, come la piaga delle mutilazioni genitali.
La «disforia di genere», oggi definita «marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, associata a una sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito socia- le, scolastico o in altre aree importanti», è un’espressione nucleare dello sviluppo identitario. Inizia di solito precocemente, attorno ai 2-5 anni, ma solo in alcuni casi (dal 10% al 30%) persiste dopo la pubertà. Anche fosse destinata ad attenuarsi, rivelandosi solo come identità outsider destinata poi a un’evoluzione cis-gender, etero omosessuale, l’incongruenza di genere nell’infanzia va seguita attentamente perché rappresenta un fattore di rischio per ansia, depressione, difficoltà relazionali, autolesionismo e in alcuni casi ideazione
suicidaria. Le famiglie di solito non sanno come aiutare i propri bambini che si dichiarano bambine (e viceversa), e sono moltissimi i medici di base, i pediatri e gli stessi psicologi che si dichiarano del tutto impreparati.
Negli ultimi vent’anni, in diverse città, sono sorti importanti centri specializzati, e non tutti seguono lo stesso modello clinico- teorico. I più noti sono quelli di Amsterdam, Londra, San Francisco, Toronto. Tutti documentano un aumento vertiginoso di contatti ( a Londra, tra il 2009 e il 2016 si e` passati da 95 a 1600 nuovi casi l’anno, con un incremento del 1500%).
In Italia, esiste un Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG), che ha messo in rete diversi centri attivi sul territorio nazionale, per esempio il SAIFIP (Servizio di Adeguamento dell’Identità Fisica all’Identità Psichica) dell’Ospedale San Camillo di Roma e ha pubblicato le sue «linee guida». Presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica della Sapienza è nata da poco un’unità di ricerca sullo sviluppo dell’identità di genere. Il suo primo proposito è effettuare una mappatura dei casi sul territorio italiano, coinvolgendo psicologi, psicoterapeuti e pediatri. La ricerca è ancora in fase preliminare, ma la quantità di risposte ottenute finora è sorprendente e testimonia una casistica significativa, ma in buona parte ancora sommersa. E, va da sé, per nulla considerata e non finanziata: nessuna formazione del personale medico e psicologico, scarsa ricerca scientifica, poco intervento clinico e sociale.
Le ricerche dei più importanti studiosi - come Peggy Cohen-Kettenis (Olanda), Domenico Di Ceglie (Regno Unito), Diane Ehrensaft ( California), Kenneth Zucker (Canada) - indicano che il rischio psicopatologico non è legato all’incongruenza di genere in sé, piuttosto ai traumi che questi bambini e bambine subiscono in famiglia, a scuola e nei loro ambienti di vita, dove soffrono la non accettazione e il mancato riconoscimento di quella che percepiscono come la loro vera e unica identità psicologica e sessuale. Famiglie, insegnanti, medici vanno aiutati a conoscere e comprendere il fenomeno, senz’altro multifattoriale, della varianza e della disforia (ovvero la sofferenza soggettiva) di genere. Operazioni come quella del National Geographic permettono una maggior diffusione delle conoscenze, combattono i pregiudizi e gli stereotipi e promuovono l’accettazione. Scambiarle per propaganda è assolutamente irrazionale. National Geographic. Numero speciale, Gender la rivoluzione. Come cambiano le identità di genere , n. 39 del 1° gennaio 2017. pagg. 125, € 4,90