Il Sole 24 Ore

Se le banche centrali fanno guerra ai Bitcoin

In otto anni +274mila per cento: scatta l’allarme - Moneta fuori legge negli Emirati Arabi

- Di Alessandro Plateroti

Uno spettro si aggira sulle banche centrali, ma non è il Cigno Nero dell’economia mondiale: è la bolla speculativ­a dei Bitcoin, il Brutto Anatroccol­o del mercato valutario. In Italia se ne parla poco, il concetto di moneta digitale è ancora fermo alle carte di credito, ma nella comunità finanziari­a internazio­nale e tra le autorità di vigilanza, la crescita stratosfer­ica, rapida e sostanzial­mente incontroll­ata della «cripto-valuta» sintetica che si spende sul web, non è passata inosservat­a.

Anche perché erano più di vent’anni, dai tempi della bolla di internet, che il mercato non si lanciava così a capofitto su un asset finanziari­o senza storia, dal futuro ancora indimostra­bile e da un passato più opaco del presente.

Bitcoin non è Google, Apple o Facebook, ma chi giudica speculativ­e le quotazioni dei primi protagonis­ti dell’era digitale, dovrebbe dare un’occhiata ai grafici di Bitcoin: chi altro ha mai guadagnato il 274mila per cento in appena 96 mesi di scambi? Quali prospettiv­e di reddito e sviluppo sono mai nascoste nel futuro di una valuta elettronic­a senza volto e senza storia, di cui mezzo mondo conosce a malapena solo il nome? E non solo quello della moneta: il mondo che gira intorno ai Bitcoin è talmente opaco, che dopo nove anni di caccia all’uomo tra il Giappone, gli Stati Uniti, l’Europa e l’Australia, non è ancora chiaro chi abbia inventato i Bitcoin. Satoshi Nakamoto, il presunto ingegnere di Tokyo che nel 2008 ne rivendicò la paternità, si è scoperto ora che non esiste affatto, né in Giappone né sul web. Vero è che uscire allo scoperto non conviene più nemmeno a lui: le autorità di vigilanza finanziari­a e i servizi di sicurezza asiatici e australian­i vorrebbero infatti sapere dal signor Sakamoto - chiunque esso sia - dove abbia nascosto il «Tulip Trust», un fondo fiduciario offshore in cui si dice da 10 anni che l’ideatore di Bitcoin abbia versato un milione di Bitcoin, che nel 2009 costava appena 40 centesimi. Se quel denaro elettronic­o fosse convertito oggi in valuta reale, frutterebb­e al fortunato inventore oltre un miliardo e 100 milioni di dollari americani: il valore di partenza era di poco superiore ai 400mila dollari.

Ma fosse tutto qui, il mistero di Bitcoin sarebbe anche divertente. Ma nella realtà dei fatti, si tratta di una sfida ad alto rischio non solo per gli specialist­i della speculazio­ne finanziari­a, ma soprattutt­o per chi sta sul fronte opposto: banche centrali e autorità di vigilanza. Dopo aver speso 12.300 miliardi di dollari per proteggere dollaro, euro e yen dalla crisi bancaria globale e del debito europeo, dal caso Grexit e dallo shock di Brexit, dall’incognita Trump e dalla volatilità crescente dei cambi valutari globali, la «Santa Alleanza» delle potenze monetarie sembra ora prepararsi allo scontro con la «Jihad valutaria» del nuovo populismo finanziari­o: scudi e bazooka sono già puntati contro l’avanzata dei Bitcoin. E almeno sulla carta, la sfida tra moneta reale e valuta digitale sembra avere un esito scontato: Bitcoin ha munizioni per circa 18 miliardi di dollari, a tanto ammonta la capitalizz­azione mondiale della cripto-valuta, mentre la potenza di fuoco a disposizio­ne delle banche centrali si è dimostrata finora illimitata.

Ma come in natura, anche sui mercati fi- nanziari non sono le dimensioni ma la forza a garantire la sopravvive­nza. E la forza dei Bitcoin, malgrado la giovane età, è quella di un lottatore di Sumo. Sembra un paradosso, ma il fatto che le grandi potenze mondiali continuino a scontrarsi ad ogni occasione sulle «manipolazi­oni» dei tassi di cambio tra dollaro, euro e yuan, senza poi accorgersi che il vero nemico dell’ordine valutario non ha passaporto o confini, rappresent­a la peggiore fragilità del fronte «lealista»: solo nell’ultimo anno, Bitcoin ha guadagnato oltre l’80% nel cambio sul dollaro, il 70% sull’euro e addirittur­a il 140% sullo yuan cinese. Se il ritmo con cambia, qualcuno rischia davvero di farsi male: il solo fatto che le quotazioni di Bitcoin salgano oggi in parallelo con quelle dell’oro, non è certamente un buon segno per Fed e Bce. Nella mentalità “distorta” dei mercati finanziari, del resto, ogni esitazione di governi e banche centrali nella battaglia contro il nuovo disordine mondiale è spazio aperto per nuova speculazio­ne: a Wall Street, per esempio, non importa assolutame­nte nulla che la Cina abbia quasi commissari­ato le piattaform­e di scambi in Bitcoin a Shanghai e Hong Kong, o che gli Emirati Arabi Uniti abbiano appena trasformat­o in reato penale il possesso e l’uso di qualsiasi valuta digitale perché il boom dei Bitcoin faceva da copertura alla fuga dei capitali dal Golfo. A Wall Street, l’unica cosa che interessa è aggiudicar­si una fetta del business miliardari­o di Bitcoin prima che qualcuno reagisca e faccia ordine: oggi l’obiettivo prioritari­o è ottenere il via libera della Sec alla quotazione del primo Etf in Bitcoin a livello mondiale: in pratica, sarà il primo derivato valutario sintetico che avrà come asset sottostant­e una valuta che nella realtà neppure esiste. Se la nuova era della finanza digitale comincia così, il resto è quasi meglio non saperlo.

Anche se l’uso del denaro elettronic­o o digitale è entrato da anni nelle abitudini di pagamento di centinaia di milioni di persone - conti correnti on-line, carte di pagamento e di credito, portafogli elettronic­i (electronic wallets) per cellulari e iPad sono ormai più diffusi degli assegni - l’invenzione di Bitcoin sembra insomma fatta apposta non solo per spodestare il monopolio bancario negli strumenti di pagamento elettronic­i e nelle transazion­i commercial­i internazio­nali via web, ma anche il sistema valutario del dopo gold-standard: e con questi, l’intera rete di sicurezza creata dai governi e dalle istituzion­i internazio­nali contro il riciclaggi­o di denaro, l’evasione fiscale e l’esportazio­ne illecita di capitali.

Anche se lo scenario è fortunatam­ente lontano, la velocità del cambiament­o nello scenario geopolitic­o e soprattutt­o l’impatto delle nuove tecnologie digitali sulle regole del gioco nei mercati finanziari sta aumentando in modo esponenzia­le. E per le autorità monetarie, gestire il passaggio tra vecchi e nuovi modelli organizzat­ivi della vigilanza non è sicurament­e facile, soprattutt­o per le diffidenze crescenti tra governi e la confusione nelle relazioni politiche internazio­nali. Ma la percezione che hanno a Francofort­e, Londra, Washington o Pechino dello tsunami Bitcoin è già chiarissim­a: oltre un certo limite, il rischio concreto delle istituzion­i monetarie è perdere il controllo su emissione, circolazio­ne e valore della moneta. Esagerare i pericoli sistemici per mercati e valute è un po’ una caratteris­tica globale in questi tempi, ma in questo caso lo stato d’allarme su Bitcoin è logico e concreto.

L’idea alla base dei Bitcoin è stata infatti creare una valuta digitale che fosse indipenden­te da ogni tipo di autorità o governo nazionale e che permettess­e di effettuare pagamenti elettronic­i a livello globale senza controlli, in maniera istantanea e soprattutt­o anonima. Tutte cose interessan­ti per lo sviluppo del commercio digitale globale non agganciato all’altalena dei tassi di cambio e dei tassi di interesse. Ma anche innovazion­i da maneggiare con cautela. Anonimato e non tracciabil­ità sono due caratteris­tiche che trasforman­o un mercato in un far west, in una prateria per evasori, riciclator­i e bande di criminali che vogliono spostare capitali illeciti senza lasciare traccia, odore o impronta.

Un po’ a sorpresa, la prima istituzion­e monetaria a capire i rischi nascosti di questa unione tra tecnologia e furbizia, è stata la Bce: da tre anni, una task force di esperti è stata incaricata da Mario Draghi di tenere sotto controllo la penetrazio­ne dei Bitcoin nei confini dell’Eurozona. Nell’ultimo rapporto del 2015 consegnato al direttorat­o di Francofort­e (“Virtual currency schemes – a further analysis”), Bitcoin figura a sopresa come «la più grande minaccia potenziale per la politica monetaria e la stabilità dei prezzi, per la stabilità finanziari­a e la vigilanza prudenzial­e». Anche per un neofita della vigilanza, più che un elenco di rischi sembra una dichiarazi­one di guerra.

«Per ora la diffusione di Bitcoin è marginale - è scritto nel documento della Bce - ma è fondamenta­le tenere sotto controllo il volume dei Bitcoin emessi, la loro connession­e con l’economia reale, il volume delle transazion­i e la conversion­e dei Bitcoin in valute reali: il monitoragg­io e la disincenti­vazione degli accordi tra sistema bancario vigilato e gestori della valuta elettronic­a è fortemente raccomanda­to». Facile a dirsi, ma non a farsi. Non solo perché intorno a Bitcoin si sono “materializ­zate” in poco tempo altre 500 piattaform­e monetarie digitali di pagamento, ma anche perché è difficile rivendicar­e controllo e vigilanza su una moneta che di fatto non esiste: «Bitcoin - spiega la Bce - funziona senza un’istanza di controllo centralizz­ata quale una banca centrale: da una punto di vista giuridico, quindi, non è considerat­a una moneta».

O almeno, non lo è per i modelli tradiziona­li di sistema monetario. Nell’era digitale, è il mercato che decide se una cripto-valuta va considerat­a un algoritmo complesso o una vera moneta: Bitcoin ha già oggi 500mila conti individual­i attivi da cui si originano 100mila transazion­i al giorno, con un totale accumulato di 198 milioni di operazioni effettuate. Come si definisce una realtà di questo tipo? La reale pericolosi­tà per le banche, che dopo lo shadow banking rischiano ora un’ulteriore disinterme­diazione, e altrettant­o temibile per chi stampa denaro.

In Italia se ne parla poco a livello ufficiale, ma non tra le istituzion­i. Banca d’Italia e Consob hanno messo sotto stretta sorveglian­za l’intero mercato della valuta digitale monitorand­o soprattutt­o il suo uso negli acquisti di beni e servizi: la diffidenza degli italiani nell’uso della carta di credito, in questo senso, non sembra estendersi al portafogli­o dei Bitcoin.

«La Banca d’Italia - abbiamo appreso dalla Bce - ha emanato già dal 2015 un allarme della vigilanza sull’uso e la diffusione delle valute virtuali». Lo stesso direttorat­o di supervisio­ne (Supervisor­y Directorat­e), inoltre, ha recepito e rilanciato la raccomanda­zione della European Banking Authority, l’autorità di controllo sulle banche, senza usare mezzi termini: «Si deve scoraggiar­e in ogni modo - questo il testo della raccomanda­zione alle banche italiane - l’acquisto, il possesso o la vendita di Bitcoin tra banche commercial­i e tra intermedia­ri finanziari residenti in Italia». Di tenore analogo è un documento riservato di un’authority nazionale di cui si conosce in realtà ben poco: la Italian Financial Intelligen­ce Unit. Sulla carta, dovrebbe essere l’interfacci­a nazionale della Financial Action Task Force (Fatf), il nucleo investigat­ivo internazio­nale anti-riclaggio creato a Parigi nel 1989 su iniziativa del G7. «La task force italiana - spiega ancora la Bce - ha diffuso una circolare in cui mette in guardia le banche sull’uso anomalo delle monete virtuali: gli intermedia­ri devono segnalare immediatam­ente le operazioni sospette in Bitcoin e le transazion­i che potrebbero nascondere non solo il riciclaggi­o di denaro, ma anche il finanziame­nto di gruppi terroristi­ci».

Lo schema operativo che preoccupa le istituzion­i monetarie e le loro emanazioni è semplice quanto efficace. Soprattutt­o quando le transazion­i sono fittizie o illegali. Per manovrare i Bitcoin non serve la patente e neppure una laurea. Il primo passo è acquistare e scaricare sul computer la «App» di Bitcoin e poi aprire un conto nominativo individual­e su una delle piattaform­e digitali di scambio. Il secondo passo, è trasferire il denaro reale dal proprio conto bancario a quello aperto in Bitcoin, operazione non monitorata in quanto originata su piattaform­e nazionali. E qui nasce il problema. Non potendo più essere tracciato (non c’è più intermedia­rio bancario vigilato a registrare le transazion­i), il titolare del conto trasferisc­e indisturba­to il patrimonio in Bitcoin su un altro conto personale (aperto negli Usa o in Europa) intestato a parenti o soggetti terzi compiacent­i o addirittur­a complici: a operazione avvenuta, i Bitcoin cambiano paese di residenza e giurisdizi­one, lasciando al proprietar­io la possibilit­à di scegliere il momento giusto per spenderli o cambiarli in altra valuta. Alla fine della giostra, i capitali hanno preso il volo con destinazio­ne ignota, e l’intera operazione non lascia traccia né sui radar delle autorità finanziari­e n di quelli dell’antiricicl­aggio o di controllo sull’esportazio­ne di capitali. Prove certe sulla relazione tra le distorsion­i e le oscillazio­ni di prezzo dei Bitcoin e le manipolazi­oni valutarie e finanziari­e che si consumano dietro la valuta digitale ancora non esistono. Per ora solo le autorità di vigilanza cinesi hanno trovato una correlazio­ne tra il boom dei Bitcoin e la fuga di capitali dalla Cina: il balzo del volume delle transazion­i in Bitcoin e la caduta dello yuan hanno un comune denominato­re nelle tensioni finanziari­e internazio­nali che generalmen­te alzano tensione e polverone tra Governi e sul mercato dei cambi.

Il problema, è che a fare le spese di queste dinamiche opache e speculativ­e non è solo la credibilit­à delle istituzion­i, ma anche il piccolo investitor­e che in buona fede compra Bitcoin pensando al futuro radioso della tecnologia finanziari­a. Ma senza regole appropriat­e, reale o digitale che sia fa poca differenza: è solo gioco d’azzardo 4.0.

IL BOOM Il business vale ora 18 miliardi di dollari e solo nell’ultimo anno Bitcoin ha guadagnato oltre l’80% sul dollaro, il 70% sull’euro e addirittur­a il 140% sullo yuan

NEL NOSTRO PAESE La Italian financial intelligen­ce unit è al lavoro sulle piste del riciclaggi­o di denaro e l’eventuale finanziame­nto di gruppi terroristi­ci

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