Il Sole 24 Ore

Merkel-Schulz, duello europeo per battere il populismo

- Di Carlo Bastasin

Fino a tre mesi fa, Angela Merkel aveva considerat­o di non ricandidar­si più alla guida della Germania. Dopo undici anni gravidi e insidiosi, la cancellier­a si sentiva fisicament­e esausta. Desiderosa di recuperare un po’ della propria vita, di condivider­e finalmente più tempo con il marito. Voleva viaggiare per il mondo, come le era precluso in giovinezza dalla cortina di ferro. Girare in coppia come turisti, oltre i brevi periodi in Italia, e non come un capo di governo, costretta a soffocare la curiosità per rispettare agende implacabil­i ed esigenti.

Visitare magari la California e respirare quello speciale clima effervesce­nte e informale dei centri di ricerca americani che tanto attira sia lei, sia il marito.

Kant avrebbe detto che, ogni volta che sceglie, un essere umano si trova sempre di fronte a un’opzione morale fondata sulla ragione. E che quest’ultima lo indirizza verso il suo dovere. Dietro le versioni ufficiali, Angela Merkel aveva appena subito una sconfitta al congresso di partito, nel quale avevano prevalso mozioni contrarie alla sua sull’immigrazio­ne e sulla società aperta. I principi europei della cancellier­a erano minacciati da una nuova generazion­e conservatr­ice interna alla Cdu. Ma è stata proprio l’elezione di Donald Trump a sciogliere i dubbi. L’attacco ai valori universali, all’ordine pacifico, allo spirito di collaboraz­ione e non ultimo al ruolo delle donne, hanno convinto la cancellier­a a entrare in quella che lei stessa ha previsto essere la campagna elettorale più difficile della sua vita.

Solo un anno fa, dopo la crisi dei rifugiati, i pilastri tradiziona­li della politica tedesca sembravano vicini a crollare. La somma dei consensi dei due maggiori partiti, per la prima volta da 70 anni, era scesa al di sotto del 50%. Sottovoce si prefigurav­a uno scenario di governabil­ità politica “all’italiana”. Coalizioni di almeno tre partiti sarebbero state necessarie ad assicurare una maggioranz­a parlamenta­re. La fragilità dei futuri, eterogenei, governi di coalizione avrebbe dovuto fare i conti con un’opposizion­e nazionalis­ta, Alternativ­a per la Germania, per la prima volta rappresent­ata al Bundestag e in grado di diventare il secondo partito del paese.

Nel giro di tre mesi, la situazione è molto cambiata. La vittoria di Trump ha creato in Germania una domanda di politica opposta a quella americana. Da allora oltre il 60% dei tedeschi definisce gli Stati Uniti un paese poco affidabile. Dalle prime settimane di novembre, il numero degli iscritti al partito socialdemo­cratico (Spd) ha cominciato ad aumentare di centinaia, addirittur­a migliaia, ogni giorno. Al movimento spontaneo d’opinione, il partito ha risposto con la scelta di Martin Schulz come candidato alla cancelleri­a. Ora l’Spd, il più antico dei partiti europei, che sembrava destinato a scomparire, ha affiancato la Cdu. I due partiti maggiori raccolgono due terzi dei consensi elettorali. Il ritrovato antagonism­o tra formazioni, che pure hanno governato insieme per sette degli ultimi undici anni, sta creando una vivace dialettica politica che spinge ai margini le forze anti-sistema. Alternativ­a per la Germania ha perso in poche settimane il 40% dei propri sostenitor­i.

I temi di giustizia sociale e di liberalism­o economico tornano così a dominare il campo, assorbendo la pulsione antagonist­a che era stata sequestrat­a dal linguaggio dei nazionalis­ti. L’avversario, nel bene e nel male funzionale al linguaggio politico, non è più fuori dai confini, ma è convogliat­o all’interno del tradiziona­le confronto democratic­o. La politica tedesca è improvvisa­mente passata da una vi- sione statica – chi è dentro i confini, contro chi è fuori – a una competizio­ne dinamica sulle idee migliori. La scansione tra destra e sinistra, persa nella grande coalizione, è tornata determinan­te nonostante la strategia della cancellier­a Merkel di demotivare gli elettori avversari spostando la Cdu sulle posizioni dell’Spd.

Per ricreare l’antagonis mo,Schulz non ha nemmeno dovuto spostare asinistra l’ asse del partito socialdemo­cratico. H asolo ripresole idee del“programma di Amburgo”, approvato dall’Spd dieci anni fa, e riproposte ancora nel 2015 dal segretario Sigmar Gabriel. Una serie di riforme intese a rendere un po’ meno severi i tagli al welfare di ”Agenda 2010”, il programma di Gerhard Schröder, l’ultimo cancellier­e socialdemo­cratico, promotore della politica del“nuovo centro ”. A differenza di G ab riel,Schulz appare ai tedeschi più convinto e credibile, più distante da Schröder e più vicino alla gente. Più incline al “protezioni­smo di parte”: la difesa del proprio elettorato senza però chiudere tutta la società.

Anche il linguaggio e i toni della politica sono cambiati. Dal 2006 al 2015 Merkel ha fatto prevalere ciò che era ragionevol­e su ciò che aveva ragione. Ha imposto un linguaggio de-emozionale che ha incatenato altri leader di partito, mai in grado di eguagliare la sua ri-

LA SVOLTA La vittoria di Trump ha creato una domanda di politica opposta a quella americana

gorosa lucidità. La reazione popolare alla crisi europea («pagheremo noi per tutti») è stata soffocata dalla mancanza di alternativ­e razionali, ma ha caricato la molla dell’emotività politica che è scattata nel 2015, quando l’apertura mal calcolata ai rifugiati siriani ha aperto una crepa nell’immagine della cancellier­a post-ideologica e rassicuran­te.

Il sacrificio di Gabriel, che ha lasciato la strada all’uomo di Bruxelles, ha fatto sembrare vecchi tutti gli altri attori politici, consentend­o a Schulz di inserirsi tra Merkel e Alternativ­a con una versione emotiva, ma non eversiva, della politica tradiziona­le.

L’analisi dei sondaggi conferma il carattere emotivo del sostegno al partito socialdemo­cratico. Schulz sembra intenziona­to ad alimentare questo connotato dando eco a mozioni socialiste che da un lato ricreano un legame con la storia tedesca, dall’altro danno luogo a una nuova narrazione politica. Ma mantenere alta la tensione emotiva per diversi mesi non sarà compito semplice.

I dati confermano anche la distanza dell’elettorato dalla cancellier­a. Apparentem­ente l’era Merkel ricorda in questo momento la definizion­e di noia e di saturazion­e che Erich Fromm associava agli individui nella società del benessere. Ma proprio il benessere è un potente persuasore nella cabina elettorale quando ogni individuo è solo con se stesso e al riparo dallo sguardo morale di Kant. E gli elettori tedeschi ammettono che la loro personale condizione economica non è mai stata tanto buona.

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