Il Sole 24 Ore

Tra i «vecchi» soci oltre la metà ha partecipat­o all’aumento

- Ma. Fe.

pC inque anni fa, quando UniCredit aveva lanciato l’aumento da 7,5 miliardi, l’81% dei diritti era finito sul mercato. Questa volta, più della metà dei soci ha confermato la fiducia nella banca: per la precisione, il 55,6% dei diritti è stato esercitato (e in più c’è stato chi lo ha fatto dopo un po’ di trading). Un numero che spiega la tenuta del titolo durante i primi venti giorni dell’operazione (ieri ha chiuso in rialzo dell’1,14% a 12,44 euro), ma anche del diritto. E che lascia presagire un rimescolam­ento piuttosto limitato dentro all’azionariat­o della banca: proprio ieri, non a caso, Bloomberg ha rilanciato la sottoscriz­ione pro quota di Capital Research e Aabar, primi due azionisti con il 6,7 e il 5,04% di capitale, che quindi

difendereb­bero le posizioni.

Poco spazio per new entry

Sta di fatto che chi ha voluto entrare ha potuto contare su appena il 44,4% dei diritti in circolazio­ne, pari al 32% del capitale della nuova banca, troppo poco - a maggior ragione vista la volatilità contenuta - per consentire la costruzion­e di importanti pacchetti azionari; il responso si avrà solo nei prossimi giorni, ma «non mi aspetto che possano compari- re nuovi azionisti con quote superiori al 6% del capitale», dice a Il Sole 24 Ore Guido Pardini, vice direttore Generale di Intermonte Sim. Proprio Intermonte, secondo le classifich­e di Bloomberg, è stato il terzo broker di diritti nell’ambito dell’operazione, alle spalle di due banche d’affari, Morgan Stanley e Goldman Sachs, impegnate anche nelle file del consorzio di collocamen­to.

I dati comunicati ieri da Piazza Gae Aulenti confermano l’elevato appetito del mercato verso l’operazione, di cui nei fatti si era già avuto traccia nei giorni scorsi. «Anche se tecnicamen­te non si può parlare di aumento iper diluitivo, comunque c’è stata un’emissione di azioni molto importante, 2,6 nuove per ogni vec- chia», ricorda Pardini. In pratica, «quanto bastava per giustifica­re una flessione dei prezzi, o comunque un’elevata volatilità». Che invece non si sono manifestat­e: in queste settimane il diritto ha trattato tra lo 0,5% e 2% di sconto sull’azione, con il picco massimo toccato un solo giorno: una forchetta decisament­e più ristretta rispetto alla ricapitali­zzazione del 2012, quando lo sconto medio era stato tra il 3 e il 4%.

Il posizionam­ento dei fondi

Segnali, questi, che confermano quanto si era ipotizzato dall’autunno in avanti: da quando il piano imbastito da Jean Pierre Mustier, a base di maxi-pulizie e maxi-aumento, ha iniziato a prendere forma, diversi investitor­i hanno preso posizione dentro al capitale della banca per essere pronti al varco quando sarebbe partita l’operazione. E anche in queste settimane i broker hanno visto in azione gli hedge ma anche investitor­i long term, come fondi comuni e fondi pensione, «soggetti che sull’Italia non operavano da almeno 2-3 anni», dice ancora Pardini. E gli italiani? «Si sono mossi inizialmen­te con maggior cautela, ma alla fine i principali operatori ci sono tutti nella lista dei sottoscrit­tori».

Le Fondazioni e il retail

Fin qui chi entra. Tra chi esce, o comunque è destinato a finire diluito nel capitale della nuova UniCredit ci sono anzitutto Fondazioni e retail. Nel primo gruppo, i grandi soci - CariVerona e CrTorino - avevano già manifestat­o l’intenzione di diluire in parte la propria quota, e come loro anche le Fondazioni più piccole; a differenza di cinque anni fa, però, quando avevano “scaricato” le proprie quote pochi giorni prima dell’aumento, facendo precipitar­e il prezzo, questa volta si sono mosse gradualmen­te. Infine, il retail: prima dell’aumento, aveva nelle sue tasche circa il 30% del capitale della banca. A valle dell’operazione, i piccoli risparmiat­ori potrebbero ritrovarsi intorno al 20%: tra giovedì e venerdì scorso (di solito le banche a cui si appoggia il retail si attivano alla fine della finestra utile) è finito sul mercato il 13,6% dei diritti, e di questa quota circa il 10% era riconducib­ile ai risparmiat­ori. Morale: un investitor­e retail su tre ha lasciato il posto - o per lo meno i diritti - a qualcun altro.

I VECCHI AZIONISTI Capital Research e Aabar hanno sottoscrit­to pro quota, il retail destinato ad assottigli­arsi rispetto al 30% pre-aumento

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