Più voce ai contratti ma non sull’organizzazione
Il testo unico sul pubblico impiego interviene anche sul delicato rapporto tra legge e contrattazione collettiva, chiarendone i rispettivi contorni: nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del salario accessorio, della mobilità, le nuove norme specificano che la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge. Si evidenzia poi come siano escluse dalla negoziazione con i sindacati le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali, e la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali.
Si stabilisce, poi, che la quota prevalente delle risorse complessivamente destinate al salario accessorio sia devoluta al trattamento collegato alla performance organizzativa (e non più individuale).
La contrattazione collettiva inoltre disciplina, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi. La durata viene stabilita in modo che vi sia coincidenza fra la vigenza della disciplina giuridica e di quella economica.
I contratti collettivi nazionali potranno, ancora, individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata; mentre i contratti collettivi nazionali di lavoro dovranno prevedere apposite clausole che impediscono incrementi della consistenza complessiva delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori, nei casi in cui i dati sulle assenze, a livello di amministrazione o di sede di contrattazione integrativa, rilevati a consuntivo, evidenzino significativi scostamenti rispetto ai dati medi annuali nazionali o di settore.