Il Sole 24 Ore

Ma non basta la liberazion­e di una città a salvare l’Iraq

- Roberto Bongiorni

Cosa accadrà nel “dopo Mosul”? Conquistar­e la “capitale irachena” del Califfato richiederà del tempo. Ma la sua caduta non appare più una questione di se, piuttosto di quando. E quando la polvere sollevata dai bombardame­nti si depositerà a terra, gli iracheni si troveranno con un problema che, se non gestito con oculatezza e per tempo, rischia aprire un vaso di Pandora.

Sono in tanti a voler forgiare il futuro di Mosul in modo consono ai propri interessi; i sunniti, il Governo a maggioranz­a sciita di Baghdad,le frange più filoirania­ne. In qualche modo anche laTurchia e i curdiirach­eni. In passato Mosul,città mut li confession­ale ma a maggioranz­a sunnita ,è stata a lungo amministra­ta proprio dai sunniti. Molti dei 700mila civili intrappola­ti nei quartieri occidental­i non vivono la cacciata dell’Isis come una liberazion­e. Hanno motivo di temere rappresagl­ie da parte delle milizie sciite schierate a fianco dell’esercito. È già accaduto quando sono state strappate all’Isis altre città, come Tikrit, Ramadi e Falluja.

Gli errori più gravi commessi dal Governo a maggioranz­a sciita di Baghdad sono state le discrimina­zioni economiche e politiche portate avanti per anni nei confronti dei sunniti. Proprio il loro mancato coinvolgim­ento nell’esercizio del potere ha provocato un grave effetto collateral­e. Pur non condividen­do la fanatica ideologia dell’Isis, e in molti casi condannand­one le brutali azioni, parecchi sunniti non si sono schierati contro l’Isis. In alcuni casi alcune tribù hanno forgiato alleanze militari.

Agli occhi delle frange irachene più filo-iranane, parecchi sunniti sono semplici collaboraz­ionisti dell’Isis. Il successo dell’operazione per riprendere Mosul dipenderà quindi anche dall’accortezza che il Governo di Baghdad userà per rassicurar­li che non subiranno alcuna rappresagl­ia.

È bene non illudersi. La

OLTRE IL CALIFFATO La maggioranz­a sunnita di Mosul teme le rappresagl­ie delle milizie sciite filo -iraniane

vittoria contro l’Isis a Mosul, quando avverrà, non segnerà la fine dei problemi che affliggono l’Iraq, ma piuttosto l’inizio di un aspro confronto politico – si spera non militare - su chi controller­à la seconda città dell’Iraq ed il suo territorio circostant­e. Il compito che dovrà affrontare il premier iracheno Haydar al-Abadi è arduo: trovare il consenso per definire i confini interni dell’Iraq che l’Isis ha sgretolato. Soprattutt­o con i curdi. Regione autonoma da decenni, il Kurdistan iracheno somiglia più a uno Stato sovrano. Con il suo esercito, le sue istituzion­i, e la sua capitale, Erbil. Al di là di Mosul e i suoi pozzi c’è anche in gioco anche il destino di Kirkuk, la città contesa,il cui sottosuolo nasconde il 15% delle riserve petrolifer­e irachene. Da tempo i curdi mirano alla sua annessione con un referendum. Che non è mai stato raggiunto per i disaccordi su chi ha diritto di votare. Ma le cose sono cambiate. Quando, nel giugno del 2014, l’esercito iracheno abbandonò Kirkuk davanti all’offensiva dell’Isis, i Peshmerga curdi salvarono la città. Che da allora è in mano ai curdi. Ed è improbabil­e che la cedano. La sua annessione e il suo petrolio significan­o un’accelerazi­one verso la creazione di un Kurdistan indipenden­te. Baghdad non vuole sentirne parlare. La guerra contro l’Isis è finora stata il collante che ha tenuto uniti il Governo di Baghdad e quello curdo di Erbil. Una volta riconquist­ata Mosul, la questione riesploder­à. È inevitabil­e che Erbil chiederà delle dolorose contropart­ite in cambio del suo decisivo intervento militare contro l’Isis. Cosa che irriterà non solo gli sciiti, ma anche i suniiti. Sono loro a rischiare di essere esclusi. E se ciò accadesse si ripeterebb­e l’errore già commesso dagli Stati Uniti nel 2003 e dal Governo di Baghdad dal 2005. L’errore che ha contribuit­o all’ascesa dell’Isis.

Vi è anche la questione degli sfollati interni. È urgente elaborare un piano per reinserirl­i nella società. Senza alternativ­e potrebbero essere facile preda dell’estremismo islamico. Oggi più che mai Stati Uniti e Governo iracheno devono trovare una strategia volta a risolvere le side politiche e umanitarie prima che finisca la battaglia di Mosul. Se non lo facessero, potrebbe poi essere troppo tardi.

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