Ma non basta la liberazione di una città a salvare l’Iraq
Cosa accadrà nel “dopo Mosul”? Conquistare la “capitale irachena” del Califfato richiederà del tempo. Ma la sua caduta non appare più una questione di se, piuttosto di quando. E quando la polvere sollevata dai bombardamenti si depositerà a terra, gli iracheni si troveranno con un problema che, se non gestito con oculatezza e per tempo, rischia aprire un vaso di Pandora.
Sono in tanti a voler forgiare il futuro di Mosul in modo consono ai propri interessi; i sunniti, il Governo a maggioranza sciita di Baghdad,le frange più filoiraniane. In qualche modo anche laTurchia e i curdiiracheni. In passato Mosul,città mut li confessionale ma a maggioranza sunnita ,è stata a lungo amministrata proprio dai sunniti. Molti dei 700mila civili intrappolati nei quartieri occidentali non vivono la cacciata dell’Isis come una liberazione. Hanno motivo di temere rappresaglie da parte delle milizie sciite schierate a fianco dell’esercito. È già accaduto quando sono state strappate all’Isis altre città, come Tikrit, Ramadi e Falluja.
Gli errori più gravi commessi dal Governo a maggioranza sciita di Baghdad sono state le discriminazioni economiche e politiche portate avanti per anni nei confronti dei sunniti. Proprio il loro mancato coinvolgimento nell’esercizio del potere ha provocato un grave effetto collaterale. Pur non condividendo la fanatica ideologia dell’Isis, e in molti casi condannandone le brutali azioni, parecchi sunniti non si sono schierati contro l’Isis. In alcuni casi alcune tribù hanno forgiato alleanze militari.
Agli occhi delle frange irachene più filo-iranane, parecchi sunniti sono semplici collaborazionisti dell’Isis. Il successo dell’operazione per riprendere Mosul dipenderà quindi anche dall’accortezza che il Governo di Baghdad userà per rassicurarli che non subiranno alcuna rappresaglia.
È bene non illudersi. La
OLTRE IL CALIFFATO La maggioranza sunnita di Mosul teme le rappresaglie delle milizie sciite filo -iraniane
vittoria contro l’Isis a Mosul, quando avverrà, non segnerà la fine dei problemi che affliggono l’Iraq, ma piuttosto l’inizio di un aspro confronto politico – si spera non militare - su chi controllerà la seconda città dell’Iraq ed il suo territorio circostante. Il compito che dovrà affrontare il premier iracheno Haydar al-Abadi è arduo: trovare il consenso per definire i confini interni dell’Iraq che l’Isis ha sgretolato. Soprattutto con i curdi. Regione autonoma da decenni, il Kurdistan iracheno somiglia più a uno Stato sovrano. Con il suo esercito, le sue istituzioni, e la sua capitale, Erbil. Al di là di Mosul e i suoi pozzi c’è anche in gioco anche il destino di Kirkuk, la città contesa,il cui sottosuolo nasconde il 15% delle riserve petrolifere irachene. Da tempo i curdi mirano alla sua annessione con un referendum. Che non è mai stato raggiunto per i disaccordi su chi ha diritto di votare. Ma le cose sono cambiate. Quando, nel giugno del 2014, l’esercito iracheno abbandonò Kirkuk davanti all’offensiva dell’Isis, i Peshmerga curdi salvarono la città. Che da allora è in mano ai curdi. Ed è improbabile che la cedano. La sua annessione e il suo petrolio significano un’accelerazione verso la creazione di un Kurdistan indipendente. Baghdad non vuole sentirne parlare. La guerra contro l’Isis è finora stata il collante che ha tenuto uniti il Governo di Baghdad e quello curdo di Erbil. Una volta riconquistata Mosul, la questione riesploderà. È inevitabile che Erbil chiederà delle dolorose contropartite in cambio del suo decisivo intervento militare contro l’Isis. Cosa che irriterà non solo gli sciiti, ma anche i suniiti. Sono loro a rischiare di essere esclusi. E se ciò accadesse si ripeterebbe l’errore già commesso dagli Stati Uniti nel 2003 e dal Governo di Baghdad dal 2005. L’errore che ha contribuito all’ascesa dell’Isis.
Vi è anche la questione degli sfollati interni. È urgente elaborare un piano per reinserirli nella società. Senza alternative potrebbero essere facile preda dell’estremismo islamico. Oggi più che mai Stati Uniti e Governo iracheno devono trovare una strategia volta a risolvere le side politiche e umanitarie prima che finisca la battaglia di Mosul. Se non lo facessero, potrebbe poi essere troppo tardi.