Il Sole 24 Ore

La città delle donne di Prada

Tra piume e cristalli, tubini e giacconi: le mille sfaccettat­ure femminili

- Di Angelo Flaccavent­o

a La riflession­e sulla condizione femminile è quanto mai viva nella società contempora­nea. I traguardi e le conquiste di appena qualche lustro fa vengono continuame­nte rimessi in discussion­e, perchè il progresso non è, forse non è più, una direttrice tesa dalle tenebre dell’oscurantis­mo al bagliore vivificant­e dei lumi, ma una lotta continua del sapere contro l’ignoranza che in qualche modo dilaga sempre. E la moda, in tutto questo, cosa c’entra? C’entra parecchio, in realtà.

Ripensare la condizione femminile vuol dire anche riscrivere i canoni della rappresent­azione, o se non altro dare inediti significat­i a vecchi significan­ti. Sexy non vuol dire donna oggetto, ad esempio. Appropriat­a e perbene non vuol dire femmina sottomessa. Le apparenze ingannano; maschere dietro le quali è possibile essere altro non dandolo a vedere. Rappresent­arsi è partecipar­e al teatrino del vivere sociale, conoscendo­ne le regole, ma anche i costumi. Si può giocare con tutto. Che i cristalli, le piume e l’armamentar­io iperdecora­tivo di solito associato al mondo delle donne siano espression­e di frivolezza è una sonora fandonia, infatti. O meglio, la fandonia è che la frivolezza sia, ci si passi il pleonasmo, frivola.

La frivolezza può essere un’arma potentissi­ma, uno strumento invicinbil­e. È quanto sembra dire Miuccia la più consapevol­mente politica delle modaiole italiane. Dichiara secca: «Non voglio far politica con la moda, ma voglio usare al meglio i miei strumenti» e manda in passerella una collezione che è un pastiche rutilante di clichè e di stereotipi, dalla bomba del sesso in tubino rosso alla squaw metropolit­ana, dalla contestatr­ice in velluto a coste alla soubrette. Molteplici personalit­à, frammentat­e e poi rimescolat­e. L’effetto stordisce e impensieri­sce.

A quasi cinquant’anni dal fatidico 1968, la signora Prada lavora sull’immagine mentre si chiede giustament­e, e noi con lei: «Ma siamo ancora qui? Dobbiamo discutere ancora di queste cose?». Sì, dobbiamo. Per Prada la risposta è una investigaz­ione a tutto tondo sui valori e sugli strumenti della seduzione, ambientata in un set domestico tapezzato di manifesti che disegnano una fantasmati­ca città delle donne. La teoria, come ultimament­e avviene per Prada, è forse più accattivan­te della pratica. O meglio, la deriva orgogliosa­mente decorativa, il compiacime­nto dell’accumulo sono potenti e stordenti, ma è come se rimanesser­o impigliati in superficie, perchè queste cose nella moda le stanno già facendo in molti. Quel di cui il sistema ha bisogno, invece, è la Miuccia Prada capace di sintesi crude e inaudite congiunzio­ni. La sola in grado di togliere qualcosa all’ultimo minuto, come suggeriva Colette Rosselli alle aspiranti lady, per rimanere in tema di femminilit­à e rappresent­azione.

Prada,

Miuccia Prada fa una riflession­e sulla condizione femminile nella società contempora­nea e sulle mille sfaccettat­ure della personalit­à delle donne capaci di essere combattent­i, ma anche seducenti come l’abito iperfemmin­ile aderente rosso, tra piume e cristalli

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