Perchè Bolloré non può permettersi la ritirata
Arnaud de Puyfontaine ha ripetuto agli analisti quello che i legali avevano già sostenuto lunedì davanti all’Agcom e cioè che Vivendi non controlla né Telecom Italia né Mediaset. Vivendi, di fatto, non può permettersi di perdere nè l’una nè l’altra. I conti del 2016 hanno confermato che lamedia company guadagna con le attività all’estero. In Francia Canal + ha moltiplicato le perdite sfiorando un rosso operativo di 400 milioni che i risultati migliori di sempre ottenuti in Africa non sono riusciti a compensare. Da sola Telecom, partecipata al 23,9%, ha contributo (con 173 milioni) a quasi il 14% dei risultati di gruppo. Lo scorso anno per rastrellare il 28,8% del Biscione Vivendi ha speso più di 1,3 miliardi e altri 0,6 miliardi sono stati messi sul piatto per ricostituire la quota in Telecom, diluita dal convertendo. Da questa parte delle Alpi, complessivamente, il gruppo presieduto da Vincent Bolloré (che ad aprile salirà al 29% dei diritti di voto) ha investito una cifra dell’ordine dei 5 miliardi, tanto quanto la liquidità di cui ancora la compagnia transalpina dispone (1,1 miliardi è la posizione finanziaria netta). Ecco perchè i francesi non possono permettersi di fare dell’Italia il loro Vietnam.
Etuttavia la situazione è ancora ingessata. De Puyfontaine ha ripetuto il mantra degli ultimi mesi, che spera ancora cioè in una soluzione positiva, di trovare un accordo con Mediaset per dar vita a una partnership industriale che rientra nelle strategie del gruppo più volte declinate. Però di nuove proposte al Biscione non ne sono arrivate, e a Cologno monzese si ricorda che l’accordo per la partnership industriale era già stato trovato un anno fa, ma poi Vivendi ci ha ripensato, rimangiandosi la firma apposta sotto un contratto che per la controparte è vincolante. Solo che l’accordo di aprile limitava l’incrocio azionario a una quota, quasi “simbolica”, del 3,5% ed era centrato su Premium, che lo scorso anno ha perso ancora più di cento milioni e non rappresenta una risposta sufficiente alle ambizioni francesi di far nascere la “Netflix europea”.
Ma il punto è, se anche fosse possibile gettare di nuovo le basi per un progetto di collaborazione - sul presupposto di ricreare un clima di fiducia tra i due gruppi, cosa affatto scontata - che il pallino in questo momento è in mano all’Agcom, la quale ha in corso un’istruttoria per l’ipotesi di violazione delle regole che impediscono di riunire sotto lo stesso cappello l’operatore dominante delle tlc con un player che, come Mediaset, ha una quota superiore al 10% nei media. De Puyfontaine ha ricordato agli analisti - collega- ti in occasione della presentazione dei risultati del 2016 - che si tratta di una legislazione “locale”, quando invece negli Usa le cose stanno andando in ben altra direzione, perchè - ha sostenuto - il legame tra telco e contenuti è un rapporto “sano”. Solo che la legge, per quanto “locale”, è la legge e un’Authority “locale” non può certo disattenderla.
De Puyfontaine ha comunque detto che, dopo il primo contatto “tecnico” con gli uffici dell’Agcom, spera di essere ascoltato per esporre le ragioni del gruppo di cui è ceo. Con ciò anticipando che il vertice di Vivendi chiederà di essere ascoltato anche dal consiglio dell’Authority, prima che si chiuda la procedura. Altrettanto potrebbe fare Mediaset che per ora ha mandato avanti i suoi legali per sostenere l’esposto, presentato ancora a dicembre, dove si sosteneva che già col superamento del 10% del capitale del Biscione, il gruppo transalpino, titolare della quota di riferimento di Telecom, è da considerare giuridicamente “collegato” e dunque che le disposizioni del Tusmar (il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) sono già state violate.
La soluzione all’intricata vicenda resta dunque un bel rebus e il fatto che Vivendi ammetta che sta considerando «diversi scenari» in relazione alla questione conferma solo quel che si poteva immaginare. E cioè che nessuno, ma proprio nessuno, può sapere oggi come finirà.